Il caso del Belgio: 18 mesi senza un Governo (fino a ieri…)
Dopo ben 540 giorni sembra essere definitivamente risolta la crisi politica che aveva investito il Belgio. A guidare il nuovo esecutivo sarà il socialista francofono Elio Di Rupo. Il nuovo Governo, che dovrà risollevare le sorti di un Paese profondamente segnato da una crisi della politica e delle istituzioni come non se ne ricordavano di precedenti in Occidente, sarà composto da 12 ministri e 6 sottosegretari. La coalizione a sostegno del nuovo Governo tiene dentro la quasi totalità delle forze politiche del Belgio (socialisti e liberali francofoni e fiamminghi, cristiano-sociali), all'opposizione si collocano invece soltanto le frange indipendentiste ed i verdi.
La crisi politica che ha investito il Belgio e che si è materializzata in una "vacatio" governativa unica, per la sua durata, in tutta la storia europea, ha posto e continua a porre una serie di pressanti interrogativi. Come è possibile che nel cuore dell'Europa si possa determinare una situazione di questo tipo e, soprattutto, che tipo di conseguenze ciò ha determinato sulla vita economica e sociale dei cittadini del Belgio?
In prima istanza sarebbe legittimo immaginare un Paese sull'orlo del tracollo, confuso ed economicamente in ginocchio, data l'assenza di una guida politica protrattasi per così tanto tempo. In realtà i dati sulla crescita e sullo stato dell'economia in Belgio sono pronti a smentirci ed alimentare ulteriormente le nostre domande. Nel solo 2010 il PIL belga è cresciuto del 2%, quasi il doppio rispetto alla media europea, ed il Paese riesce a fronteggiare meglio di altri la grave crisi economica che attraversa il continente.
A nostro avviso la situazione belga ha rappresentato in maniera plastica ciò che sta avvenendo in Europa da qualche anno a questa parte. Un lento ma progressivo accantonamento della politica e delle sue funzioni in favore di un potere economico che si intende scevro da ogni controllo ed evidentemente autoregolantesi. La situazione belga ci ha consegnato un'immagine della politica relegata a mera esecutrice di indirizzi e disposizioni che non rientrano più nella propria disponibilità, una politica che rinuncia al ruolo di progettazione ideale dell'esistente.
L'obiezione è scontata. A cosa serve la politica se l'economia sembra "funzionare" anche senza di essa (sostanzialmente quanto accaduto in Belgio)? La risposta è altrettanto scontata. Il compito della politica deve essere quello di immaginare uno sviluppo complessivo, un sentire comune ed un'immagine condivisa di una comunità e dei suoi compiti. Nello specifico, se è vero che l'economia belga sembra godere di discreta salute è altrettanto vero che le disparità economiche e sociali sono cresciute notevolmente in quel Paese. Senza una guida politica che prova a disegnare un'equa distribuzione delle ricchezze lo slittamento verso forme di diseguaglianza sempre più accentuate sembra essere inevitabile. Se il processo di "crescita economica" sembra potersi determinare anche in assenza di un indirizzo politico, il punto è capire come ciò si riverbera sulla vita reale della stragrande maggioranza dei cittadini e delle cittadine. Se ciò significa l'aumento esponenziale delle grandi ricchezze ed il progressivo peggiorarsi delle condizioni di vita dei ceti medio e medio-bassi, ecco che la politica deve necessariamente riguadagnare un ruolo.
Va da sè che ciò non riguarda solo la vita economica di un Paese ma innumerevoli altri aspetti. Proprio la mancanza di un sentire comune che deve essere compito della politica costruire, ha fatto in modo che negli ultimi 18 mesi si acuissero in Belgio le tensioni identitarie. Qualcuno ha accarezzato l'idea che ormai la politica, così come l'abbiamo sempre intesa, non avesse più ragione di esistere. Noi invece riteniamo che il suo compito sia ancora necessario ed è per questo che guardiamo con rinnovato ottimismo alla risoluzione della crisi belga.