Il caso dei mediatori culturali sulle navi quarantena: “Turni massacranti, stipendi inadeguati”
Turni di lavoro massacranti, con contratti di collaborazione prorogati di volta in volta, e uno stipendio non adeguato all’impegno. La condizione dei mediatori culturali sulle navi quarantena è diventata sempre più pesante, nonostante il carattere umanitario dell’iniziativa. E a nulla sono serviti i tentativi di chiarimenti avanzati da chi, ogni giorno, sale sulle imbarcazioni per il fondamentale rapporto con i migranti. Sono loro infatti a recepire le informazioni, conoscere le storie di chi cerca rifugio, individuare le soluzioni migliori in base ai singoli casi.
Il progetto è stato lanciato ad aprile del 2020 dalla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, per garantire che i migranti sbarcati in Italia trascorressero un periodo di quarantena. Nel pieno della prima ondata di Covid-19 è stata cercata una soluzione-tampone, che si è via via strutturata. Così il Ministero dei Trasporti, di concerto con il Viminale e il Ministero della Salute, ha emanato un decreto, stabilendo i criteri per affrontare gli sbarchi nella fase di pandemia. Il 12 aprile 2020, un ulteriore decreto del Dipartimento di Protezione civile ha avviato la fase esecutiva delle navi quarantena, affidando di fatto la gestione operativa alla Croce rossa italiana (Cri). Quindi, per garantire un adeguato funzionamento del meccanismo, è stato necessario reclutare personale qualificato: oltre a medici, infermieri, esperti in questioni legali, sono stati assunti i mediatori culturali, di nazionalità diverse, da Paesi del Nord Africa al Medioriente. Attualmente sono suddivisi su cinque navi: Adriatico, Allegra, Atlas, Aurelia, Azzurra. In precedenza ce n’erano altre tre, che però sono state “liberate” dalle mansioni.
Ma se l’emergenza pandemica sembra calare, a bordo delle navi alcuni aspetti continuano a non funzionare. Tanto che i mediatori culturali hanno manifestato il malcontento per la situazione che si è creata nel tempo. “I turni di lavoro, in alcuni casi, superano le 12 ore, arrivando a 14 e anche 16. Il riposo è davvero minimo. Comprendiamo la condizione di emergenza, ma sarebbe giusto mostrare altrettanta comprensione verso le nostre richieste”, spiega, chiedendo di restare anonimo, uno di loro. E circa sessanta mediatori hanno messo nero su bianco le problematiche rilevate. In una lettera, visionata in esclusiva da Fanpage.it, vengono elencati alcuni punti specifici. Su tutti la turnazione: “A bordo delle navi, i mediatori sono costretti a turni lunghi e con insufficienti ore di pausa e riposo, arrivando anche a 14-16 ore lavorative giornaliere. Sarebbe pertanto opportuno definire nel contratto stipulato, l’orario lavorativo massimo per settimana”, scrivono nel documento.
Lo sforzo, secondo la missiva, non è giustamente remunerato: “Considerato lo stato di emergenza che rende difficile la definizione delle effettive ore di lavoro, la richiesta è quella di adeguare il compenso a tali carichi lavorativi, poiché, attualmente, i mediatori ricevono una paga che non rispecchia né rispetta minimamente il ruolo da essi svolto”. I contratti, secondo quanto riferito a Fanpage.it, si aggirano sui 1.500 mensili netti. Uno stipendio che sarebbe commisurato a un impiego di otto ore, non del doppio. “Alternativamente – scrivono poi i mediatori – si consideri l’ipotesi di stabilire le ore giornaliere direttamente in fase contrattuale, in modo tale che, in caso di superamento di suddette quote, si possa quantomeno procedere con l’attivazione di straordinari”. E ancora viene ribadito nella lettera: “Dato lo stato emergenziale, ma costante, della situazione, pur comprendendo la necessità di tutto il carico lavorativo, permane la necessità di un’adeguata remunerazione per le effettive ore lavorative e del corretto inquadramento del delicato ruolo del mediatore”.
La puntualizzazione contenuta dal documento era quella di una “assoluta valenza propositiva in quanto inizio di un dialogo al fine di trovare giuste soluzioni al disagio che l'intero gruppo dei mediatori sta manifestando”. Insomma, non c’era alcun tentativo di un muro contro muro. Alla mail è effettivamente giunta la risposta della responsabile indicata dalla Croce Rossa, garantendo la presa in carico delle richieste e la valutazione degli “input” inviati, pur chiedendo comprensione per il contesto emergenziale della missione, giudicata “complessa” e con un quadro sempre in divenire. Un’apertura di credito che faceva ben sperare, visto che era stato informato della questione anche il numero uno della Croce Rossa, Francesco Rocca.
“Ma da allora non è cambiato nulla, chi resta sulle navi è solo per mancanza di alternative”, racconta un mediatore, senza nascondere la sua frustrazione, condivisa con altri colleghi. Eppure si parla di una funzione “determinante”, per ammissione di chi è interno al progetto. Anche per questo motivo c’era stata la richiesta di “un maggior riconoscimento, che non andrebbe sminuito rispetto ad altrettanto importanti ruoli”. I mediatori sono occupati sia di giorno che di notte, confrontandosi con tutti gli attori in campo. E “spesso – evidenziano ancora nella lettera – si rende difficoltoso se non impossibile seguire il resto del team, come medici, legali e altri ruoli, nelle proprie mansioni”. Così si ritrovano talvolta a dover fare da soli, svolgendo mansioni non adeguate alle loro caratteristiche. Perché, tra i punti contestati, c’è anche l’organizzazione interna. Che si somma al problema del compenso.