Cosa succederà nelle stanze del Quirinale, quando i delegati del primo partito italiano, Grillo incluso, incontreranno il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non è dato sapere. Forse gli ricorderanno le firme ignorate ed il boom sottovalutato. Forse spiegheranno che la loro intenzione è quella di ostacolare il governissimo e tornare alle urne. O forse si limiteranno ad urlare: "Sveglia Morfeo!" (vabbeh, per sdrammatizzare…). Invece, la parola giusta sarebbe una sola: grazie.
Sia chiaro, la dietrologia è uno dei rischi nell'affrontare un argomento del genere, ma da un punto di vista strettamente pragmatico è innegabile che dietro il risultato elettorale vi sia la gestione della crisi politica del 2011. Una crisi morbida (sullo sfondo di una tremenda crisi economica), pilotata da Napolitano in collaborazione con Draghi e Trichet, malgrado (ora possiamo dirlo) i mal di pancia del Partito Democratico. Del resto, che il voto anticipato, dopo la caduta di Berlusconi, potesse premiare in maniera consistente il centrosinistra (pur nelle condizioni precarie in cui si trovava, tra correnti e personalismi) è più di una impressione a posteriori. Napolitano scelse di andare nell'altra direzione, affidando il Paese alle cure di Monti (lo ripetiamo, tra tutte le contingenze) e consegnando il Pd ad un abbraccio rivelatosi poi mortale. Certo, lo fece per dare stabilità e governabilità al Paese. Obiettivo fallito, col senno di poi, come evidente dal risultato delle politiche 2013, che certamente non rassicurano né i mercati, né le istituzioni europee, né il restante 75% dei votanti.
Intendiamoci, Bersani non dirà mai che gli italiani avrebbero dovuto votare a febbraio del 2012. Per rispetto del Presidente e in ossequio ad un patto d'onore con compagni di partito (anche in sede europea) e militanti. Ma è ciò che tutti pensano e di cui nessuno parla. L'elefante invisibile di questa campagna elettorale. Quello con le insegne a 5 stelle, di cui forse Grillo si ricorderà nel suo incontro "storico" con Napolitano.