In questo caso un breve riepilogo è d'obbligo: Pd sì, Ncd sì, Scelta Civica sì, Popolari sì, Minoranze linguistiche sì, socialisti e centristi vari sì; Forza Italia no ("responsabile"), Movimento 5 Stelle no ("sprezzante"), Lega no, Sel no, Gal nì, Fdi no. Tradotto in parole povere, il lungo giro di consultazioni di Giorgio Napolitano e di Matteo Renzi ha ribadito che esiste una maggioranza di governo numericamente solida in Parlamento. E che è la stessa che ha sostenuto Letta dopo l'uscita dall'esecutivo di Forza Italia.
C'è poi la questione dei programmi, che Renzi ha sintetizzato in due modi: da una parte le riforme urgenti, una al mese fino a giugno, dall'altra l'assunzione di "Impegno Italia", il patto di coalizione per arrivare fino al 2018 impostato dal Governo Letta, come traccia, come indirizzo per il futuro. In più, è apparsa chiara l'indisponibilità delle diverse anime della maggioranza ad uno scivolamento a sinistra della "piattaforma programmatica", che deve muoversi intorno alle coordinate individuate ad aprile e "parzialmente corrette" dopo la decadenza di Berlusconi dalla carica di senatore. Insomma, come stava facendo Letta. Ci sarà invece un cambiamento della squadra di Governo, con qualche sostituzione nei ruoli chiave e qualche conferma praticamente scontata. Quello che insomma chiedevano da tempo sia la minoranza del Pd che le componenti minoritarie della maggioranza.
Insomma, al netto della complessità delle valutazioni da fare, è evidente che ad emergere sia soprattutto la figura del futuro Presidente del Consiglio, che evidentemente intende porsi come il reale fattore di discontinuità rispetto al passato. Subentrando a Letta, sul quale, al di là della retorica ufficiale, c'è evidentemente un giudizio negativo, legato alle tante contraddizioni del suo operato, alla lentezza dell'agire politico e ad alcune scelte dirimenti. O meglio, questo è quello cui si arriva semplicemente tirando banalmente le somme su un cambiamento che nella sostanza è limitato ai nomi. Ed è la domanda che si pongono in tanti in queste ore: con la stessa maggioranza e gli stessi margini di manovra al Senato, come farà Renzi ad accelerare sulle riforme e a cambiare verso al Paese? (Sulla natura della scelta di Renzi abbiamo comunque provato a ragionare qui e qui).
Poi c'è stata la "parentesi" Beppe Grillo. Con il grande incontro che si è rivelato essere una rappresentazione triste di due persone che avrebbero voluto essere in qualunque altro posto del mondo tranne che lì, a parlare del nulla di fronte alle telecamere. E che dunque si sono ridotte a battibecchi, mezzi insulti, con l'uscita di scena di Grillo che più che eclatante è stata ridicola (e probabilmente se ne è accorto lui stesso, fermandosi a parlare con i giornalisti all'uscita). Del resto, che il capo politico del Movimento 5 Stelle non avesse alcuna intenzione di incontrare Renzi era cosa nota e resa esplicita, così come era ipotizzabile pensare che Renzi non avesse nulla da guadagnare dal confronto pubblico con l'unica componente "dura e pura" del Parlamento: gli unici coerenti fino in fondo nella loro linea politica (non c'è un giudizio di merito, sia chiaro, ma la semplice constatazione del percorso di candidatura / elezione / opposizione da febbraio 2013 ad ora).
E che Grillo sia incazzato non è una novità. Lo è perché ha potuto constatare come quel sistema "morituro" è in realtà ancora in grado di gestire le fasi delicate e di preservare una certa stabilità del quadro politico. Lo è perché il banco non è saltato a febbraio, né ad aprile, né a novembre e nemmeno adesso. Lo è perché ha un vero avversario, forse due, anche dal punto di vista della comunicazione e della capacità di improvvisazione. Lo è perché, a ragione o a torto, le istanze del Movimento vengono spesso marginalizzate. Lo è perché, stavolta a buona ragione, il Parlamento è sempre più la dependance delle stanze dei bottoni e le decisioni hanno sempre un'origine "altra" rispetto alle sedi naturale. Lo è perché il Movimento cresce al pari delle aspettative dei cittadini. Lo è perché le elezioni europee si avvicinano. E lì magari ripenserà al duetto inutile fatto con Renzi, forse con rimpianto, forse con soddisfazione. Vedremo.