Ieri ha perso l'Italia.
Non ha perso il fronte del Sì, né quello del No e nemmeno quello dell'astensione, hanno perso tutti. Abbiamo perso tutti. Abbiamo perso la possibilità di emanciparci dalla logica dicotomica che ci ha incatenato negli ultimi vent'anni. Abbiamo perso la possibilità di dimostrare che in politica non è importante il “chi” ma il “come”, il “cosa” e il “perché”.
Stiamo ripercorrendo gli stessi errori, le stesse dinamiche che hanno distrutto il nostro paese negli ultimi vent'anni. Quelle che trasformavano ogni dibattito in un conflitto. Quelle che ci rendevano incapaci di discutere del merito gli argomenti. Per vent'anni abbiamo detto che era colpa della televisione per poi traslare le boutade televisive in “trollate” online. Abbiamo ricreato all'interno di un nuovo ecosistema mediatico l'orrore degli ultimi 20 anni.
Sì, orrore è la parola giusta. Un orrore che non ha nulla a che vedere con un posizionamento politico ed è la morte di qualsivoglia pensiero critico. Quel pensiero critico che consente di separare i temi dalle persone, che distingue l'azione da chi la compie. Quel pensiero critico che dovrebbe tutelarci dall'orrore che è proprio tanto del dibattito politico quanto di quello sulla “giustizia” che ci fa confondere diritto e “sentore personale”.
Un orrore sul quale il Presidente del Consiglio – e i suoi oppositori – hanno costruito le rispettive fortune. Un orrore che consente di non dover mai fare, davvero, politica. Un gioco al massacro che trasforma tutto – anche un referendum – in uno scontro “renziani” contro “anti-renziani”. Un gioco al massacro liquido e post-ideologico che vede sullo stesso carro leghisti e ambientalisti, grillini e sinistra da una parte ex-Pci ed ex-Dc dall'altra. Un gioco al massacro che appiattisce tutto e rende invisibili le differenze sottomettendole a logiche da stadio.
Ma è davvero questa l'Italia che sogniamo? Sogniamo davvero un paese incapace di andare oltre la personificazione della politica? Finché ci accontenteremo di questo dibattito, finché non sposteremo l'asticella un po' più in là, e parleremo, davvero, di contenuti, staremo perdendo tutti.
Perderemo perché sopiremo ancora di più la nostra capacità di analisi. Perderemo perché trasmetteremo alla future generazioni una logica che in fondo è quella della nostra pancia. Incapace di andare oltre “quello lì mi sta simpatico/antipatico”. Li renderemo incapaci di competere con i figli degli altri paesi che affrontano, ogni giorno, scelte politiche che devono basarsi su un pensiero critico e non personalistico. No, non possiamo più permettercelo. Finché il piano della discussione sarà questo vincerà sempre chi la sparerà più grossa o avrà il mezzo di comunicazione più potente.
Finché il piano della discussione sarà la persona e non il tema perderanno i cittadini, sempre. Finché non si entrerà nel merito delle discussioni il voto stesso diverrà inutile e l'astensione sarà legittima. Perché voteremo il più “bello”, non il “migliore”. Voteremo per chi parla meglio non per chi ha la migliore visione del paese. Voteremo chi è sostenuto dal mezzo di comunicazione più forte.
La capacità di analisi, la conoscenza, sono il solo vaccino contro la deriva dalla quale veniamo e verso la quale stiamo procedendo. Ma richiede più impegno, ci costringe a non fermarsi a sentire una voce che “grida” più forte ma ad ascoltare le parole. Ci costringe a partecipare. A ritornare a essere politica e non retorica. Ci costringe ad assumerci le nostre responsabilità di cittadini. Se abiuriamo questo ruolo, se parliamo del chi e non “del cosa, del come e del perché” vincerà sempre chi ha il ha il mezzo di comunicazione più grosso (e il denaro per alimentarlo).
Se abiuriamo questo ruolo non avremo scuse, non potremo svegliarci dopo vent'anni candidamente irresponsabili: l'Italia del futuro dipende da noi, oggi.