I vescovi contro l’autonomia differenziata: “Aumenterà le disuguaglianze, anche nella sanità”
"È proprio la storia del Paese a dirci che non c’è sviluppo senza solidarietà, attenzione agli ultimi, valorizzazione delle differenze e corresponsabilità nella promozione del bene comune". Dice così un passaggio della nota con cui la Conferenza episcopale italiana, che rappresenta i vescovi cattolici, ha decisamente preso le distanze dal progetto di autonomia differenziata per le Regioni promosso dal governo Meloni, e in particolare dalla Lega. Non è la prima volta che la Chiesa assume una posizione critica sul tema – era avvenuto anche lo scorso anno – ma ora che il testo è vicino al primo via libera i vescovi hanno criticato apertamente lo spirito alla base della riforma.
"Da sempre ci sta a cuore il benessere di ogni persona, delle comunità, dell’intero Paese, mentre ci preoccupa qualsiasi tentativo di accentuare gli squilibri già esistenti tra territori, tra aree metropolitane e interne, tra centri e periferie", si legge nella nota. "In questo senso, il progetto di legge" sull'autonomia differenziata "rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica".
È un rischio che, secondo i vescovi, "non può essere sottovalutato, in particolare alla luce delle disuguaglianze già esistenti, specialmente nel campo della tutela della salute", che è l'ambito principale di cui si occupano le Regioni e "che suscita apprensione" perché già oggi è "inadeguato alle attese dei cittadini sia per i tempi sia per le modalità di erogazione dei servizi". Insomma, in una situazione in cui le disuguaglianze già ci sono, il rischio è che queste – soprattutto nella sanità – si allarghino ancora.
Infatti, quando si abbandona il principio della solidarietà anche tra Regioni, "si impoverisce il tessuto sociale, o perché si promuovono singole realtà senza chiedere loro di impegnarsi per il bene comune, o perché" al contrario "si rischia di accentrare tutto a livello statale senza valorizzare le competenze dei singoli". È giusto quindi dare spazio all'azione delle singole Regioni, ma sempre tenendo conto "dell’effettiva definizione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali", cioè di quei servizi che le Regioni devono essere obbligate a fornire comunque a tutti i cittadini, e che lo Stato deve comunque finanziare. Un punto su cui il testo della riforma è già stato attaccato da più parti. Per questo, la Cei ha deciso di rivolgere "un appello alle istituzioni politiche affinché venga siglato un patto sociale e culturale, perché si incrementino meccanismi di sviluppo, controllo e giustizia sociale per tutti e per ciascuno".
La nota dei vescovi ha suscitato il plauso delle opposizioni, mentre la maggioranza ha attaccato. Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, ha commentato: "Ovviamente rispettiamo le posizioni di tutti, anche se la tempistica mi pare strana, ma ne parlerò direttamente con gli esponenti della Cei". Lucio Malan, capogruppo di Fratelli d'Italia a Palazzo Madama, ha criticato: "Non ritengo che sia così, non penso che la riforma metta in discussione il principio di solidarietà né metta in difficoltà le Regioni con una economia meno fiorente. Credo che sia una valutazione politicamente sbagliata".