I soldi per la cooperazione internazionale sono pochi (e spesso restano in Italia)
"Aiutiamoli a casa loro". In questi mesi di grandi flussi migratori, questa frase risuona tra media e politica: ne fanno un grandissimo uso in primis Salvini, Meloni e buona parte della destra, ma talvolta anche altre fazioni non ne hanno disdegnato l'utilizzo. Esistono già dei programmi della comunità internazionale volti ad aiutare le popolazioni dei paesi più poveri del mondo; e anche l'Italia ha un capitolo di spesa dedicato alla cooperazione – seppur decisamente esiguo e diminuito recentemente.
Il nostro paese ogni anno stanzia dei fondi per le missioni militari all'estero e per la cooperazione. Lo scorso 6 luglio la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di conversione del decreto legge n. 67 del 2016, relativo al rifinanziamento delle missioni militari italiane all'estero. Il decreto sostanzialmente assicura la proroga della partecipazione dell'esercito italiano e della polizia alle missioni internazionali per tutto il 2016, "la prosecuzione degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e stabilizzazione" e l'impiego del personale delle forze armate per le "esigenze di sicurezza connesse con lo svolgimento del Giubileo straordinario della Misericordia" e per la vigilanza a siti e obiettivi sensibili – dal 9 maggio 2016 fino a fine anno.
Il decreto di proroga delle missioni internazionali ha stanziato in tutto 1,2 miliardi, una cifra complessiva che non si discosta da quella prevista lo scorso anno. Di questi, solo 90 milioni sono destinati a cooperazione, sviluppo e al sostegno ai processi di ricostruzione – uno stanziamento, questo sì, in calo di 16 milioni. Sono quarantacinque le missioni militari in cui è impegnata l'Italia in tutto il mondo. A ricevere più risorse sono la partecipazione a Eunavfor Med "per individuare, fermare ed eliminare imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai passatori o dai trafficanti" (70.305.952 milioni); quelle alle missioni in Afghanistan Resolute support mission e Eupol (179.030.323 milioni), alla coalizione internazionale anti-Daesh per combattere l'Isis (253.875.400 milioni, di cui 17,5 aggiunti per l'arrivo di 400 uomini a protezione della diga di Mosul) e alla missione Unifil in Libano, per 155.639.142 milioni. Poi c'è il Giubileo, con lo stanziamento di 1500 uomini e 14,1 milioni di euro e la sorveglianza degli obiettivi sensibili, per 9 milioni di euro. Tra le decisioni prese, c'è stata la sospensione della fornitura gratuita all’Egitto di ricambi per i cacciabombardieri F-16. Un emendamento, definito "Regeni", dovuto proprio alla crisi con Il Cairo per il caso dello studente scomparso, torturato e poi ritrovato morto in circostanze che ancora non sono state chiarite.
E la cooperazione?
Le iniziative in cooperazione "volte a migliorare le condizioni di vita della popolazione e dei rifugiati e a sostenere la ricostruzione civile in favore di Afghanistan, Afghanistan, Burkina Faso, Etiopia, Repubblica Centrafricana, Iraq, Libia, Mali, Niger, Myanmar, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Yemen" sono centoventicinque. I fondi destinati, però, sono diminuiti di 16 milioni, autorizzando in tutto una cifra di 90 milioni di euro.
Circa 1,7 milioni di euro sono destinati al rifinanziamento per il 2016 del Fondo per lo sminamento umanitario e la bonifica di aree con residuati bellici. Sei milioni di euro per iniziative di sostegno dei processi di pace e di rafforzamento della sicurezza, di cui 3 milioni per iniziative in Africa settentrionale, Medio oriente e Afghanistan e 3 milioni per Africa subsahariana, America Latina e regione dei Caraibi; 2,1 milioni di euro per contributi ai fondi fiduciari della Nato e programmi delle Nazioni Unite, al Tribunale speciale per il Libano e all'Unione per il Mediterraneo; 120 milioni di euro a sostegno delle forze di sicurezza afghane, comprese le forze di polizia; 11,7 milioni per assicurare la partecipazione italiana alle iniziative Pesc-Psdc, dell'Osce e di altre organizzazioni internazionali, alla Fondazione segretariato permanente dell'iniziativa adriatico ionica, all'European institute of peace, nonché al fondo fiduciario InCE istituito presso la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo; 5,5 milioni di euro per interventi operativi di emergenza e sicurezza destinati alla tutela dei cittadini e degli Italiani all'estero; 22 milioni di euro per il finanziamento del fondo da ripartire per provvedere al rafforzamento delle misure di sicurezza attiva e passiva delle rappresentanze diplomatiche, degli uffici consolari, degli istituti italiani di cultura e delle istituzioni scolastiche all'estero; 1 milione di euro per il 2016 per invio in missione o in viaggio di servizio in aree di crisi del personale del Maeci per la partecipazione alle operazioni internazionali di gestione delle crisi, spese di funzionamento e per il reclutamento di personale locale dove non operi una rappresentanza diplomatico-consolare.
La Rete Disarmo ha sottolineato come ci siano "ancora centinaia di milioni destinati a missioni armate poco efficaci e solo le briciole a progetti di cooperazione civile" e ha criticato, come già fatto in passato, l'impianto generale del provvedimento "che vede inserire in un medesimo Decreto-legge (da votare o respingere in toto) missioni di natura e portata completamente differente". Secondo la Rete sarebbe più opportuno suddividere per tipologia o area e far in modo che i parlamentari possano scegliere su ogni sezione. Tra l'altro, nel provvedimento viene espliciatata "solo la dotazione finanziaria dei diversi interventi, dicendo poco o nulla in merito alla situazione di ciascuna missione, agli obiettivi raggiunti e quanto ancora da espletare", invece di proporre un ragionamento sulle missioni attive anche da più di dieci anni. Il punto, secondo la Rete, è ribaltare la logica e, posto che negli anni gli interventi militari si sono rivelati inefficaci, aumentare le risorse per la cooperazione civile e sociale: "Rafforzando il ruolo delle società civili invece di quello di regimi autoritari che spesso traggono vantaggio da nostro sostegno militare diretto o indiretto". E invece, nel decreto legge i fondi per la cooperazione sono stati diminuiti.
Le risorse per la cooperazione restano in Italia
Nel 2015 Matteo Renzi aveva dichiarato che entro il 2017 l'Italia sarebbe diventato il quarto paese donatore del G7, superando Canada e Giappone. Per fare questo, è necessario chel'Italia raggiunga lo 0,28% di aiuto pubblico allo sviluppo – APS rispetto al reddito nazionale lordo entro l'anno prossimo – un aumento di sette punti. Stando alle previsioni della legge di Bilancio del 2017 sembra che l'obiettivo possa essere raggiunto. Aiuti ai paesi in via di sviluppo aumentati, dunque? Non proprio.
Secondo il dossider Cooperazione Italia, realizzato da Oxfam e OpenPolis, gli stanziamenti in aiuto pubblico allo sviluppo crescono effettivamente, ma "una parte sempre più consistente resta in Italia, per far fronte alla gestione e all’accoglienza dei migranti. Un quadro causato in gran parte dall’indifferenza dell’Europa nella gestione della crisi migratoria, che di fatto sottrae ai singoli paesi, in prima linea come l’Italia, sempre più risorse alla loro vera destinazione: la lotta alla povertà nei paesi di origine dei flussi". Se infatti nel 2010 il nostro paese impegnava per i rifugiati lo 0,10% del totale dell'APS, nel 2015 la quota è salita al 25,55%. E negli stanziamenti previsti nel disegno di legge di bilancio 2017 potrebbe crescere fino a oltre il 40%.
Per Elisa Bacciotti, direttrice delle Campagne di Oxfam Italia, "in un quadro di aiuti che aumentano, come nel caso italiano, non è ammissibile che l’incremento sia ‘gonfiato' dalle crescenti risorse destinate ad assorbire i costi dell’accoglienza. Pur riconoscendo il ruolo fondamentale svolto dall’Italia e da pochi altri paesi positivamente impegnati in prima linea nelle attività di soccorso e accoglienza dei migranti, questa pratica di contabilizzazione rischia di deviare importanti risorse destinate alla lotta alla povertà e alle cause che sono alla radice dei fenomeni di migrazione nei paesi più poveri di origine dei flussi migratori. Questi costi, che è doveroso sostenere, dovrebbero essere al contrario coperti da altri capitoli di spesa, per questo è fondamentale che l’Italia, in seno alcomitato per lo sviluppo dell’Ocse, sostenga una revisione delle regole di eleggibilità delle spese in cui ammettere come aiuto pubblico allo sviluppo solo quelle strettamente associabili all’aiuto umanitario e di prima emergenza".
Nel 2015, ricorda il dossier Oxfam, l’Italia ha destinato 3 miliardi e 954 milioni in APS, ma "nella ripartizione del budget totale tra canale multilaterale (ossia quello affidato a Ue e Onu) e quello bilaterale (affidato ai singoli paesi in via di sviluppo) è il primo ad assorbire la maggior parte delle risorse: in media infatti,negli ultimi cinque anni, al canale multilaterale è stato destinato il 67,16% delle risorse e al canale bilaterale solo il 32,84%". Un trend che seppur rappresenti una strada efficace per operare in modo coordinato sui grandi problemi e le emergenze, rischia di diventare "un modo per abdicare all’esercizio delle proprie responsabilità tecniche e politiche di paese donatore, depotenziando così il sistema di cooperazione italiano".
La maggior parte di fondi dell'Italia sono andati ad Afghanistan, Palestina, Etiopia e Senegal. Gli obiettivi fissati a livello internazionale dal comitato dell'Ocse – devolvere entro il 2030 almeno lo 0,7% del reddito nazionale lordo in aiuto pubblico allo sviluppo -, però, sono ancora lontani. Una tappa intermedia è prevista nel 2020, quando bisognerebbe raggiungere almeno lo 0,3% cooperazione/reddito nazionale lordo. Per rispettare questi target, l’Italia dovrebbe superare i 4 miliardi e 750 milioni di euro in APS per il 2020, e 13 milardi e 650 milioni per il decennio successivo.