Giulio Andreotti è morto ieri nella sua casa romana di Corso Vittorio Emanuele. Si è spento alla fine di una lunga malattia che l'aveva costretto a letto negli ultimi mesi. Non riceveva estranei, non poteva. Aveva dovuto rinunciare finanche ad andare alla biblioteca del Senato, luogo nel quale amava passare le sue giornate.
Nessuno, negli ultimi mesi, aveva potuto ascoltare i suoi celebri aforismi. Quelle frasi che hanno fatto la storia d'Italia, capaci di entrare nel quotidiano delle discussioni, trasformando la battuta di un politico nel linguaggio di una nazione. Perché Andreotti era l'Italia. O meglio una parte di essa. Affascinata da questo uomo di potere capace di fare “cultura” attraverso una semplice battuta.
“Il potere logora chi non ce l'ha”, “a pensar male si fa peccato ma spesso si azzecca”, etc… sono solo alcune delle espressioni che – grazie al Divo Giulio – sono diventate di uso comune. Molti ragazzi – probabilmente – le avranno ascoltate e usate ma non sanno che sono figlie di un uomo che per 50 anni ha marchiato la storia della Repubblica. (La prima non è stata coniata da lui ma gli viene spesso attribuita)
Perché i ragazzi che parlano con le sue frasi non sanno chi sia – come mostra il video girato da fanpage ieri a Napoli –?
Nel filmato ciò che sorprende è vedere i giovani intervistati rimanere a bocca aperta davanti al suo nome. Un nome che avranno sentito, magari dai propri genitori o dai propri nonni, ma del quale non conoscono le “gestae”. Del quale non conoscono la storia che in realtà è quella di un giovane di successo: a soli 28 anni diventa sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e a 33 Ministro degli Interni – un ministero cardine di ogni repubblica -. Un uomo di grande abilità diplomatiche tanto da convincere – a soli 30 anni – Pio XII a non spingere per un'alleanza con i neofascisti – cosa non riuscita nemmeno all'allora Presidente del Consiglio De Gasperi -. La sua carriera, costellata di ombre, è il punto dal quale partire per capire l'Italia: perché Andreotti è l'uomo ideale per una vasta fetta di popolazione italiana. Cattolico ma filopalestinese, amico degli americani ma anche pronto a volare in Russia, riservato ma capace di colpire con le sue parole. Quell'uomo curvo e romano diventa ciò che gli italiani vogliono essere – in termini di potere – in una sorta di incarnazione che solo Berlusconi – a livello nazionale – riuscirà ad eguagliare. Non è un caso che il tramonto di Andreotti (schiacciato dal peso delle tv private) coinciderà con l'ascesa del leader del Pdl. Come non è un caso che l'ascesa del web coincida con la fine dell'epoca berlusconiana. Dinamiche di leader che controllano con difficoltà i media.
Sorprende vedere quei giovani a bocca aperta nonostante solo 7 anni fa Andreotti ritornò in auge come candidato alla Presidenza del Senato – in una corsa poi vinta da Marini –. Perché un politico che nel 2006 “rischiava” di diventare Presidente del Senato non è oggi nell'agenda culturale dei ragazzi? Probabilmente anche perché – data l'età – non è mai sbarcato in quell'unico luogo che frequentano: la rete. Ma forse non solo per questo.
La sua presenza web resta legata solo a qualche meme. Apparizioni sporadiche quasi sempre ad appannaggio di un pubblico adulto volto ad attaccarlo. Un pubblico adulto – di sinistra – che non è riuscito a comunicare alle generazioni successive chi era Giulio Andreotti e nemmeno a contrapporre un contraltare culturale – che non sia la riabilitazione di Craxi -.
In questo corto circuito comunicazionale vi è l'essenza della sinistra. Incapace di trasmettere ai giovani la propria storia, le proprie battaglie, le proprie dicotomie. In senso più ampio incapace di fare cultura. E così, mentre oggi si spacca su Renzi o Bersani, ciò che resta è la vittoria culturale di quest'uomo capace di scomparire dalla memoria delle future generazioni ma non dagli atteggiamenti, dal modo di parlare, dal modo di pensare. Andreotti muore ma la sua essenza resta in ogni italiano. E' la vittoria culturale dalla quale la sinistra non ha saputo riprendersi.
Probabilmente ne era consapevole e se n'è andato conscio che la sua rete di relazioni ha sorpassato l'immanenza diplomatico/clientelare per diventare sistema di pensiero. Un sistema che, negli ultimi vent'anni, ha avuto come solo contraltare il berlusconismo, capace di integrare nel pantheon anche il succitato Craxi. Lasciare che la cultura andreottiana sia soppiantata solo da quella consumistica-berlusconiana è sintomatico dell'incapacità della sinistra di produrre, oggi, un proprio apparato culturale.
Non resta che accettare che lui ha vinto e la sinistra ha perso. E continuerà a perdere finché sarà incapace di dialogare con i giovani, finché non parlerà nei luoghi dove essi si riuniscono, finché non darà loro la speranza di un paese diverso.