I quarantenni che vivono ancora con i genitori o che non hanno figli “per paura”: un’indagine
Lavoratori di 40 anni che non riescono a realizzare il proprio desiderio di autonomia, non potendo permettersi di andare a vivere da soli. Ragazzi di 25 anni che lavorano 10 ore al giorno a 4 euro all'ora, e non arrivano alla fine del mese. Sono storie dell'Italia di oggi, che non consente ai giovani di diventare adulti, ritardando sempre più il momento in cui potranno uscire dalla casa dei genitori. Fanpage.it sta raccogliendo in questi giorni le testimonianze che arrivano da diverse parti del Paese, che restituiscono un quadro drammatico per le prospettive di vita delle generazioni più giovani. Abbiamo chiesto a Eleonora Meli, responsabile dell'indagine "Famiglie e soggetti sociali" dell'Istat, di fornirci delle stime sul fenomeno. "Si fa presto a dire bamboccioni, diamo ai giovani gli strumenti per uscire da casa, visto che anche quelli che lavorano non si possono permettere un'abitazione, soprattutto nelle grandi città. Serve una seria politica di sostegno agli affitti e al reddito per i giovani che vorrebbero uscire dalle famiglie d'origine ma non possono", ci dice la ricercatrice.
È possibile conoscere la percentuale di 40enni che vivono ancora in casa con i genitori? Quanti sono in Italia?
I dati dell'indagine "Aspetti della vita quotidiana" ci danno un quadro della composizione delle famiglie. Se selezioniamo le persone nella fascia 40-49 anni, sappiamo che il 6,5% vive con almeno un genitore. Parliamo di circa 580mila persone, meno dell'1% della popolazione adulta. Ma dobbiamo considerare che magari non sono usciti perché hanno genitori anziani da accudire, e quindi non è detto che rimangano in famiglia per via di un'impossibilità a rendersi autonomi.
È possibile individuare quanti non possono e quanti invece non vogliono uscire dalla casa di famiglia, pur avendo la possibilità?
È un dato che possiamo ricavare dall'indagine "Famiglie e soggetti sociali", che è stata condotta nel 2016. Si vede che l'esigenza di uscire dalla famiglia d'origine ci sarebbe, soprattutto a partire dai 35 anni, ma sebbene si tratti di persone che per oltre il 60% dei casi lavorano, non hanno le condizioni economiche per potersi permettere un'abitazione. Come si vede nel capitolo 4 dell'analisi che stiamo per presentare, "Famiglie, reti familiari, percorsi lavorativi e di vita", nella fascia d'età più grande, dai 35 anni in su, abbiamo oltre il 40%, facendo la media tra maschi e femmine, che ha intenzione di uscire dalla famiglia d'origine. E questa percentuale aumenta con l'aumentare dell'età: i giovani adulti (over 35 ndr) esprimono questo bisogno in modo più consistente.
Ma dall'altra parte c'è anche una quota, che diventa sempre più residuale con l'avanzare dell'età, che dice di star bene così. Su questo punto le analisi che abbiamo si concentrano nella fascia 30-34 anni: oltre il 70% delle persone in questa fascia d'età intende uscire dalla famiglia d'origine. E circa il 30% che dice che sta bene in casa con i genitori.
Nella mancata realizzazione del progetto di uscita dalla famiglia di origine pesa di più l'accesso al mercato del lavoro e al mercato abitativo o è un fattore culturale?
I motivi per cui ancora i giovani adulti vivono in famiglia sono legati, anche per quelli che lavorano, all'impossibilità di sostenere le spese, soprattutto quelle per la casa. Oppure il lavoro che hanno non è "sicuro", cioè non hanno un'occupazione stabile, e quindi non hanno neanche le carte per accendere un mutuo.
Ci sono differenze tra maschi e femmine?
Sì, assolutamente. I percorsi di vita sono differenziati per maschi e femmine. I primi hanno dei tempi nelle transizioni allo stato adulto che sono posticipati rispetto alle femmine, che invece tendenzialmente anticipano. Nella fascia 40-49 anni i maschi che vivono con almeno un genitore sono l'8,3%. Le femmine sono la metà, 4,8%.
Quali sono le motivazioni? Cosa c'è dietro?
Per i maschi 40enni a pesare sono prevalentemente le motivazioni economiche. Ma, siamo onesti, c'è anche un contingente che trova comodo rimanere in casa con i genitori, perché in questo modo si riesce a lavorare e a mettere da parte dei soldi, visto che la quasi totalità delle spese viene affrontata dai genitori. E quindi si preferisce posticipare l'uscita dalla famiglia d'origine. Se consideriamo le età medie al primo matrimonio (32 anni) e al primo figlio (31 anni), siamo di 10 anni in ritardo, rispetto ai primi step della vita autonoma.
Perché le donne escono prima da casa?
C'è una differenza culturale molto forte. Nelle analisi per generazioni dell'indagine "Famiglie e soggetti sociali" si vede che è un po' cambiato il modello di uscita, nel senso che prima si usciva solo per matrimonio, mentre successivamente si è aggiunta la convivenza e poi gli altri motivi come lavoro, esigenza di autonomia, studio. Ma il modello tradizionale è ancora fortissimo per le donne. Quelle nate prime degli anni Quaranta nel 90% dei casi uscivano per matrimonio. Mentre adesso la motivazione di uscita legata all'unione è del 68%, se consideriamo le donne nate tra il 1982 e il 1986. Tenga presente che per unione intendiamo sia matrimonio che convivenza. A parità di generazione, per gli uomini più vecchi il matrimonio era motivo di uscita nel 70% dei casi; adesso per la coorte più giovane siamo arrivati a meno del 45%. Le donne quindi escono dalla famiglia d'origine prevalentemente per la formazione dell'unione, anche se non per forza un'unione in senso tradizionale. È vero però che c'è una differenza salariale a svantaggio delle donne, che infatti non escono per andare a vivere da sole. Le donne poi formano un'unione tendenzialmente prima degli uomini: nel nostro Paese le coppie sono per lo più formate da donne più giovani e uomini un po' più anziani.
Su quale fascia d'età bisognerebbe intervenire con più urgenza?
Quelli della fascia 30-34 sono il nostro potenziale, e il Paese si dovrebbe occupare soprattutto di loro, perché sono nel periodo in cui potrebbero sposarsi o avere figli, formare sostanzialmente una nuova famiglia. Sono i nostri potenziali nuovi genitori, e non lo stanno diventando. E la situazione si acuisce ancor di più nella fascia successiva. Per quanto si posticipi l'età del parto, grazie anche alle tecniche di riproduzione assistita, e per quanto avere figli dopo i 40 anni non sia più così raro, non è sui 40enni che noi dobbiamo puntare per far crescere il Paese. Dobbiamo concentrarci sulle fasce precedenti.
Avere un titolo di studio elevato aumenta la probabilità di uscita dalla famiglia d’origine?
Questo è un punto interessante. Da una parte noi sappiamo che il prolungamento degli studi posticipa tutte le fasi allo stato adulto. Se si studia fino a conseguire la laurea non ci aspettiamo che si possa essere autonomi prima dei 24 anni. D'altra parte però avere un titolo di studio elevato fa sì che, a parità di titolo di studio, i laureati abbiano più possibilità di uscire dalla famiglia d'origine rispetto a chi ha un titolo più basso. Tornando al nostro contingente, i quarantenni che hanno conseguito la laurea è più probabile che vivano senza i genitori rispetto a chi per esempio ha conseguito al massimo la licenza media. Quindi il titolo di studio è un fattore protettivo anche sull'autonomia abitativa.
Chi, nella fascia 40-49 anni, riesce a uscire dalla famiglia d’origine per quali motivi lo fa? (matrimonio, esigenze di autonomia, convivenza, motivi di lavoro)?
In generale per le generazioni più giovani diminuiscono sempre di più le motivazioni di uscita legate al matrimonio e alla convivenza, e aumentano le cause di uscita legate al lavoro, esigenza di autonomia o a motivi di studio.
Ci sono differenze territoriali?
Sì, nel Nord si esce prima dalla famiglia d'origine. Nel Mezzogiorno cambiano i motivi: qui si esce più spesso dalla famiglia d'origine per matrimonio. Molto spesso chi ha conseguito un titolo terziario è uscito dalla famiglia d'origine per motivi di studio, un fatto che poi diventa anche una molla per una vita autonoma.
Nelle coppie nate nei primi anni Ottanta c’è una minore propensione a formalizzare un’unione rispetto al passato?
Sì, è un meccanismo che è in atto nel nostro Paese ormai da anni, e ce lo dice bene anche il dato sui nati fuori dal matrimonio. Il 36% dei nati nel 2021 è nato all'interno di una convivenza. Però nel nostro Paese si tende comunque in un secondo momento a formalizzare l'unione. Si è registrato nel 2020 un piccolo picco dei matrimoni ‘grigi', cioè quelli tra 60enni, una ripresa dei matrimoni in un'età in cui di solito non ci si sposa. Si tratta di formalizzazioni di unioni di lunga data: coppie che hanno convissuto una vita, non particolarmente affezionate all'idea di matrimonio, che però con l'avvicinarsi della pensione o con l'affievolirsi delle condizioni di salute, si sposano. Con la pandemia c'è stato un crollo dei matrimoni, ma quelli tra 60enni hanno tenuto. L'altra cosa che si vede bene dai dati di "Famiglie e soggetti sociali" è che l'intenzione di chi convive, soprattutto di chi ha già fatto il primo figlio, è sposarsi. Per cui nelle famiglie con due figli sempre più spesso il primo nasce al di fuori del matrimonio, ma il successivo nasce all'interno di un'unione.
La pandemia ha avuto un impatto sui matrimoni?
In questo caso dobbiamo considerare i dati da registro. Quello che si vede è che l'età media al primo matrimonio è aumentata, considerando i dati del 2021. Possiamo immaginare che questo sia legato al Covid e che ci sia stata una posticipazione dei progetti. Sappiamo che il contingente di giovani che è rimasto in famiglia è aumentato, ma le motivazioni non le abbiamo.
Qual è la percentuale dei 40enni che riescono a realizzare il desiderio di avere figli?
Le percentuali in questo caso sono quasi buone: il 73,6% dei 40-49 anni, secondo l'indagine "Famiglie e soggetti sociali", ha almeno un figlio. Ma potrebbe averlo avuto prima. Fra quelli che non li hanno ancora avuti il 24% intende averli nei prossimi tre anni. Ovviamente si tratta più di maschi che di femmine: 26% sono i maschi, 20% le femmine.
Quali sono i principali ostacoli?
Chi è in coppia, nella fascia 40-49 anni, e intende avere il primo figlio, dice che il principale ostacolo, indicato dal 37% del campione, è rappresentato dalle ‘opportunità di lavoro', le proprie o quelle del partner. Vuol dire che a 40 anni magari si è raggiunta una stabilità lavorativa, e avere un figlio, nella percezione dei potenziali genitori, potrebbe ledere la posizione acquisita. Non solo in termini contrattuali, ma proprio in termini di carriera. Soprattutto le donne hanno paura di perdere l'investimento professionale che hanno fatto nel tempo.