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Opinioni

I modi in cui i nazisti uccidevano i prigionieri nei campi di concentramento

Quando si entrava in un campo di concentramento era più facile essere uccisi che riuscire a sopravvivere. Avere salva la vita era un caso, un imprevisto capitato nel percorso, perché i campi di sterminio erano concepiti fino al minimo dettaglio per non lasciare superstiti. I modi in cui si poteva morire all’interno del campo di concentramento erano moltissimi.
A cura di Saverio Tommasi
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In un campo di concentramento era più facile essere ammazzati che sopravvivere, ma i modi in cui i nazisti procuravano la morte ai prigionieri erano molti e diversi fra loro. Conoscerli significa avvicinarsi alla comprensione dell'orrore, perché ciò che è stato mai più accada, neanche in altre forme e in altri luoghi.

I prigionieri nei campi di concentramento arrivavano in treno, o a piedi. Più precisamente i prigionieri nei campi di concentramento arrivavano stipati in carri bestiame, oppure obbligati con lunghe marce, e qualcuno moriva già prima dell’arrivo.

A Mathausen quando i prigionieri erano troppi e dentro non ci stavano, quelli nuovi che arrivavano non li facevano entrare, li lasciavano la notte fuori a meno dieci gradi. Nudi, e li bagnavano continuamente con idranti che sparavano acqua gelata.
Questi massacri erano così utilizzati che avevano anche un nome: Totbadeaktionen, cioè bagni della morte. La mattina i prigionieri venivano ritrovati come statue di ghiaccio, in terra accuciati, o anche in piedi, completamente congelati.

Entrata del campo di concentramento di Auschwitz
Entrata del campo di concentramento di Auschwitz

Nel campo di concentramento di Auscwitz, quando nasceva un bambino, veniva affogato in un barile pieno d’acqua, di fronte alla madre.
Ai prigionieri più grandi, per lievi mancanze come ad esempio quando non si toglievano velocemente il berretto a richiesta, oppure il berretto gli scivolava in terra per un momento, veniva spinta la testa dentro un secchio d’acqua fino ad affogarli. Risparmiavano così le munizioni.

Le munizioni fino alla scoperta delle camere a gas erano molto usate. Ad esempio nella finta “raccolta di lamponi”, fuori dai reticolati di filo elettrico. Ai detenuti veniva dato un cestino, venivano fatti uscire, e poi gli sparavano per “tentata fuga”. Si divertivano così i nazisti.

Nelle fucilazioni di massa i neonati venivano spesso lanciati in aria e usati come bersaglio. Perché la carne degli infanti, troppo tenera, non era in grado di fermare la pallottola, dicevano, che perciò sarebbe potuta entrare nel corpicino, uscire dal corpicino, rimbalzare sul terreno e colpire magari di striscio un nazista. Per questo pensavano fosse meglio lanciare i bambini in aria e sparargli al volo.

Nei campi di concentramento si poteva morire di fame, il regime alimentare era appositamente studiato per essere insufficiente, non era solo una questione di risparmio, a liberazione avvenuta si scopriranno infatti magazzini ricolmi di viveri e scorte immense di patate. Il regime alimentare era studiato in modo minuzioso per far vivere il deportato pochi mesi, 2 o 3 al massimo.

Si poteva morire per dissanguamento, diverse centinaia di prigionieri morirono così, dissanguati dai prelievi a cui i nazisti li obbligavano, inviando poi quel sangue per trasfusioni ai soldati tedeschi feriti in guerra.

Nei campi di concentramento si poteva morire per un colpo di rivoltella alla nuca durante false misurazioni dell'altezza dei deportati.
"Ecco, bravo, in piedi, stendi bene la schiena", si mettevano dietro e gli sparavano alla nuca.
Questi venivano chiamati "prigionieri K", da Kugel che significa "pallottola".

Poi con le camere a gas i nazisti si accorsero che potevano fare prima e risparmare. La scusa con cui li convincevano era quella di andare a fare la doccia, e così che li rinchiudevano e poi calavano dentro dei barattoli di Zyklon B., il nome commerciale di questo gas cianidrico. Erano capsule di colore azzurrino che al contatto con l'aria si disperdevano diventavano aeriformi e determinavano la morte per asfissia. La morte sopraggiungeva ma lentamente, 15 o 20 minuti. Quando le SS non sentivano più le grida indossavano le maschere antigas e portavano fuori i corpi, per prendere loro i denti d'oro, ma anche i capelli per l'imbottitura degli stivali della Luftwaffe.

Esistevano pure le camere a gas mobili, lo sapete? Sostanzialmente era un camion con il tubo di scappamento rivolto all'interno del vano posteriore del veicolo.
Prima di accendere il camion venivano fatte salire dietro una trentina di persone, poi veniva chiuso il portellone e messo in moto il veicolo.
Il camion percorreva i cinque chilometri di tragitto che separava i forni crematori di Mauthausen e quelli di Gusen. Bastava questo tragitto per uccidere le persone dietro con gli scarichi.
Tolti i cadaveri dei gasati all'arrivo, si caricavano allora i nuovi prigionieri destinati a giungere morti all'altro crematorio, e così via, scambiandosi, in modo da risparmiare viaggi e benzina.

Sopravvissuti di Mathausen testimoniarono nei processi ai nazisti nel dopoguerra di aver udito, dalle loro celle, grida strazianti provenienti dal sotterraneo, in concomitanza del rumore delle saracinesche dei forni che si aprivano e chiudevano, a testimonianza che molte persone venivano gettate nei forni ancora vive.

Si poteva morire appesi per il mento a dei ganci da macellaio. Certi corpi di bambini erano così leggeri, che per fare entrare il gancio sotto il mento, dovevano tirarli per le gambe.

Mengele era il non-dottore di Auschwitz, ed era particolarmente interessato ai bambini gemelli omozigoti, che poi con i suoi esperimenti ammazzava. Ad esempio iniettava loro nell'iride il metilene blu per far divenare i loro occhi azzurri, come la razza ariana. I bambini urlavano dal dolore, diventavano ciechi e quando poi alla fine si addormentavano, Mengele li soffocava nel sonno.

Si poteva essere uccisi con un’iniezione a base di benzina o fenolo. Veniva effettuata nella latrina del blocco a Gusen. Il prigioniero veniva fatto sedere e gli venivano coperti gli occhi. L'avambraccio sinistro veniva tenuto da un inserviente alle sue spalle, mentre il medico effettuava l'iniezione con una siringa con un ago grosso e molto lungo, la siringa è ancora oggi esposta nel Museo di Mauthausen. Subito dopo l’iniezione, nei pochi secondi prima che il veleno facesse effetto, la vittima veniva fatta correre il più possibile, letteralmente veniva trascinata dall'inserviente fuori dalla latrina, fino al mucchio degli altri cadaveri fuori. In questo modo i nazisti si risparmiavano la fatica di trascinare il morto, perché era il "morto" stesso che veniva fatto correre nei pochi secondi che gli restavano prima di morire.

Certi Kapò si divertivano con lo strangolamento, altri aizzando i cani contro i prigionieri facendoli sbranare.
Georg Bachmayer possedeva due mastini addestrati a sbranare i prigionieri al suo comando, questa morte era chiamata dagli aguzzini "il bacio del cane".

Si moriva anche impiccati a nodo di canapo lento, oppure per i piedi, così da procurare una morte più dolorosa.

A Mathausen si poteva morire sfracellati dalle pietre mentre quelle stesse pietre si trascinavano verso quella che veniva appunto chiamata "Scala della Morte".
A Mathausen si poteva anche morire spinti già da una rupe, che i nazisti chiamavano a spregio “parete dei paracadutisti”, dalla quale gettavano le persone vive. Alcuni prigionieri si gettarono prendendo loro stessi la rincorsa, per disperazione.
Ad Auscwitz altri si suicidarono correndo e gettandosi contro il reticolato di filo spinato ad alta tensione.

Finisco con una citazione, è di Primo Levi:
“Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell'aria. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo”.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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