video suggerito
video suggerito

I migranti portano malattie? Proprio il contrario: siamo noi a trasmettere batteri a loro

Secondo una recente ricerca inglese e danese, riportata dai professori Roberto Burioni e Nicasio Mancini su Medicalfacts.it, “i migranti i batteri resistenti agli antibiotici non li acquisiscono nei loro Paesi” ma li contraggono “quando sono costretti a vivere, pigiati con altre centinaia di persone, in condizioni inumane in Paesi in cui i batteri resistenti agli antibiotici sono presenti in maniera molto abbondante”, soprattutto in Italia e Grecia.
A cura di Charlotte Matteini
894 CONDIVISIONI
Immagine

Non sono i migranti a portare le malattie in Europa, anzi è proprio il contrario. Secondo una recente ricerca inglese e danese, riportata dai professori Roberto Burioni e Nicasio Mancini su Medicalfacts.it, "i migranti i batteri resistenti agli antibiotici non li acquisiscono nei loro Paesi poveri e martoriati, dove soldi per gli antibiotici scarseggiano e le medicine vengono usate con il contagocce" ma li contraggono "quando sono costretti a vivere, pigiati con altre centinaia di persone, in condizioni inumane in Paesi in cui i batteri resistenti agli antibiotici sono presenti in maniera molto abbondante", soprattutto in Italia e Grecia.

Spiegano i professori Burioni e Mancini: "Una ricerca inglese e danese ha analizzato il rapporto fra la diffusione dei batteri resistenti agli antibiotici e i flussi migratori in tutta Europa, e il risultato è sorprendente. ‘Gli immigrati! È una vergogna! Sono un pericolo! Portano brutte infezioni dai loro Paesi, infezioni difficili da curare!'. Questo è quello che si sente dire in giro, ma siamo sicuri che sia vero? In realtà i fatti ci dicono che le cose non stanno proprio così. Come tutti sapete, gli antibiotici sono tra i farmaci più preziosi che l’uomo abbia scoperto nel corso della propria storia. Una volta si moriva come ridere per una polmonite, una tonsillite, una banale infezione: oggi non più".

"Prima di tutto è risultato un fatto piuttosto scontato: i migranti sono persone particolarmente a rischio dal punto di vista sanitario. D’altra parte, chi soffre fame e sete in condizioni estreme, come dire, spesso non ne esce con una salute di ferro. Non meraviglia, quindi, che il 33% (esattamente uno su tre), dei migranti più sfortunati, quelli che scappano da guerre e chiedono asilo, abbia avuto un’infezione o sia portatore sano (in termini tecnici colonizzato), di batteri resistenti a un gran numero di antibiotici", prosegue l'articolo di Medical Facts.

"La parte più sorprendente dello studio, però, è quella che valuta dove queste donne e questi uomini si sono presi  batteri potenzialmente molto pericolosi. Qui viene il bello. Perché questi migranti i batteri resistenti agli antibiotici non li acquisiscono nei loro Paesi poveri e martoriati, dove soldi per gli antibiotici scarseggiano e le medicine vengono usate con il contagocce. I batteri resistenti – tenetevi forte –, i migranti li contraggono quando sono costretti a vivere, pigiati con altre centinaia di persone, in condizioni inumane in Paesi in cui i batteri resistenti agli antibiotici sono presenti in maniera molto abbondante. Indovinate qual è uno di questi Paesi? Italia e Grecia sono i Paesi più pericolosi. Avete indovinato: l’Italia, che non solo è un luogo di primo approdo per i migranti, ma anche un Paese (insieme alla Grecia), che primeggia in Europa per la presenza di questi pericolosissimi batteri resistenti ai farmaci.Dunque, non siamo noi che prendiamo questi pericolosi batteri dagli immigrati (le evidenze di trasmissione alle popolazioni locali sono ancora molto scarse). Sono i migranti che li prendono da noi".

"Il paradosso è che in altri Paesi in Europa, dove il numero di batteri resistenti è molto inferiore al nostro, sono preoccupati da chi proviene dall’Italia, perché potrebbe diffondere questi batteri. A proposito, a conferma di quanto emerge dallo studio, questo non vale solo per gli immigrati, vale anche per noi italiani. Ci sono nazioni in cui, se un italiano è ricoverato in ospedale, è tenuto in isolamento (potremmo quasi dire in quarantena), durante il periodo di ricovero, per il timore che possa diffondere i batteri resistenti dove non ci sono. In conclusione, potremmo dire che il lavoro che abbiamo presentato in un certo qual modo tranquillizza noi italiani, insieme ai greci, e preoccupa i Paesi europei con un minor livello di resistenze agli antibiotici. Vero, ma fino a un certo punto. In realtà le cose non stanno proprio così, perché gli autori di questo studio non hanno considerato un’infezione pericolosissima, facile da trasmettere e molto difficile da curare: la tubercolosi. Purtroppo, se parliamo di quest’infezione, i fatti ci dicono che le cose stanno in modo diverso. Per spiegarvelo con chiarezza, come nostra abitudine, faremo parlare i fatti e vi racconteremo tutto tra qualche giorno", concludono Burioni e Mancini.

894 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views