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Opinioni

I giovani e la “folle movida”: il capro espiatorio perfetto per coprire il vuoto della politica

Finita la caccia ai runner, un nuovo argomento distorsivo ha monopolizzato il dibattito pubblico nel primo week-end di riapertura: la movida selvaggia e incosciente dei giovani nelle grandi città italiane. Il nemico perfetto, insomma, per accompagnare una transizione confusa e piena di contraddizioni.
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Follia. Rischio seconda ondata. Vandalismo e spregio delle regole. Il primo week-end post riaperture è stato caratterizzato dall’utilizzo della stessa linea narrativa, che ha accompagnato le immagini delle piazze piene nelle maggiori città italiane, mettendo in relazione univoca concetti come movida e risalita della curva dei contagi. Questa mattina, invece, ci siamo svegliati con la brillante soluzione di Governo / Protezione Civile: gli assistenti civici volontari, un esercito di “distributori di buona educazione” (la descrizione è del sindaco di Bari e presidente dell’Anci, Antonio Decaro), che dovrebbero assistere i Comuni nel compito di far rispettare le regole del distanziamento sociale. Il tutto senza avere il potere di comminare multe o segnalare infrazioni (e vorremmo ben dire), sotto il coordinamento della Protezione Civile e senza alcun riconoscimento di tipo economico per il lavoro prestato.

Un dibattito completamente impazzito, che sembra non tenere minimamente conto dei fatti e del contesto, un ulteriore segnale di poca lucidità da parte di chi è chiamato a gestire un momento delicatissimo della storia del nostro Paese. Non è la prima volta e non sarebbe neanche un problema, se non fosse che polemiche di questo tipo finiscano per influenzare le scelte dei decisori politici e contribuiscano a intossicare la narrazione dell’emergenza Covid-19.

I fatti sono noti solo in parte: il primo fine settimana di vere riaperture ha visto riversarsi per le strade, i parchi, le spiagge e le piazze centinaia di migliaia di persone, che hanno dato vita ad assembramenti più o meno inevitabili data la conformazione di alcune aree e l’alto numero di persone presenti. Le pagine dei giornali si sono immediatamente riempite di foto e video della “movida”, che si soffermavano su persone senza mascherina, assembramenti e presunti comportamenti censurabili da parte delle attività commerciali. Meno rilevanza ha avuto invece il contesto in cui si sono manifestate le scene di “delirio e follie” di cui stiamo leggendo. Ce lo ricorda il Viminale, spiegando che nella giornata di domenica 24 maggio sono state controllati 120.420 persone e 30.221 attività commerciali nell'ambito delle verifiche delle Forze di polizia sul rispetto delle attuali misure anti contagio da Covid-19. Ebbene, i numeri continuano a restituire l’immagine di cittadini responsabili e seri: "sul totale delle persone controllate si registrano 762 sanzioni e 8 denunce, 6 per falsa attestazione o dichiarazione, 2 per violazione dell'obbligo di allontanamento dall'abitazione per quarantena, mentre i titolari di esercizi commerciali sanzionati sono stati 32, i provvedimenti di chiusura 4". Anche ampliando lo sguardo all’intera settimana, i dati non cambiano di molto: su 880mila controlli sono meno di 4mila le sanzioni e 44 le denunce; su 342mila attività controllate, le sanzioni sono addirittura 248 e 64 le chiusure. Ciò che non sappiamo e non potremmo sapere, in aggiunta, è il grado di relazione delle persone fotografate o avvistate in spiaggia, nelle piazze, in coda per uno spritz: non abbiamo cioè elementi per trasformarli nei nuovi untori o nei capri espiatori di alcunché.

Intendiamoci, non si tratta di minimizzare comportamenti errati o che si discostano dalla logica di solidarietà e rispetto reciproco che dovrebbe guidare questa fase di transizione e di convivenza con il virus. La battaglia contro il Covid-19 è ancora lunga, i dati sono incoraggianti ma non risolutivi, i comportamenti individuali avranno un peso importante nella dinamica della diffusione del contagio. Ma è fondamentale ricondurre il più possibile sul piano della razionalità un vortice di commenti, indignazione e buoni consigli che in realtà nasconde altre ragioni, determina giudizi affrettati e riflette il vizio ancestrale di parte dell'opinione pubblica e della quasi totalità della classe dirigente di questo paese: il paternalismo moralista. Che sia quello benevolo e travestito da buonsenso della Lamorgese ("Dobbiamo stare attenti, è un periodo delicato e dobbiamo dare modo all’economia di riattivare i propri canali. Mi raccomando soprattutto con i giovani di non avere comportamenti irresponsabili perché avrebbero effetti gravi”), o quello passatista e repressivo di alcuni fra i principali opinionisti del Paese, poco cambia: il paternalismo dilaga e diventa l'unica coordinata con cui si invita il resto dei cittadini a leggere il reale. Esemplare in tal senso il linguaggio che sceglie Vincenzo De Luca nel rivolgersi ai giovani: “Conviene allora pensare a forme di socializzazione all'insegna non più di una massificazione alienante, ma di una umanizzazione delle relazioni […] In questi anni abbiamo visto affermarsi troppo spesso modi di incontro tra i giovani segnati da uso di superalcolici, a volte droghe”. Ecco qui: movida, covid-19, giovani, droghe e alcool. In un colpo solo, l'esponente del PD riesce a collegare la diffusione del contagio alla vita dissoluta che a suo dire farebbero i "giovani" italiani, per di più usando il mantello della critica alla società del consumo e consigliando anche la via sicura e legale al divertimento.

È piuttosto evidente che una linea di questo tipo sia da considerarsi irricevibile e inconsistente dal punto di vista del principio e del diritto, ma non vanno sottovalutate le conseguenze dell’approccio paternalista e del messaggio moraleggiante. In questo caso, infatti, i “giovani” diventano l’ultimo anello dello scaricabarile, i più esposti e facili da colpire, in un copione che segue lo stesso principio della deresponsabilizzazione che ha caratterizzato l’operato delle istituzioni in queste settimane. Ora c’è il nemico perfetto da additare a un’opinione pubblica stanca, sfiduciata e incazzata dopo mesi di lockdown, cui si sta suggerendo neanche tanto velatamente l’idea che mesi e mesi di sacrificio possano andare in fumo a causa di fretta, incoscienza e dissolutezza. Con deboli argomentazioni di tipo sanitario, usando la parola "giovani" in modo generico e pregiudizievole e senza neanche considerare che la responsabilità è in larga parte di norme confuse e confondenti, giunte peraltro dopo mesi e mesi di privazioni e limitazioni.

Se la politica si è dimostrata incapace di governare i processi, limitandosi a subirli, a recepire le indicazioni dei tecnici e a circondarsi di task force e organismi consultivi cui rimpallare sempre responsabilità e colpe, i politici non hanno rinunciato a ergersi a fustigatori della morale pubblica e della condotta dei cittadini. Condotta peraltro autorizzata dalle stesse autorità. Perché la questione è semplice: o ci sono le condizioni per riaprire e tornare alla normalità, oppure tali condizioni non ci sono affatto ed è necessario chiedere ai cittadini ulteriori sacrifici e privazioni. La terza via, quella di riaprire (cedendo alle pressioni di gruppi di interesse), senza essere certi delle ripercussioni, senza una comunicazione chiara e senza un’idea di base che non sia quella di affidarsi completamente al senso di responsabilità delle persone, è l’ennesima condotta deresponsabilizzante, che mostra tutti i suoi limiti proprio in momenti di forte stress. Tra la normalità, il lockdown e la gestione della fase di transizione passa un mare: scegliere di trattare il tempo libero e lo svago come l'unico comparto problematico è indice di miopia culturale e mancata comprensione di processi che andrebbero governati.

L'intransigenza con cui si giudicano comportamenti in gran parte legittimi e comunque determinati da una cattiva gestione del processo di riapertura, poi, si traduce in una risposta repressiva e insensata dai risvolti tragicomici. A Pavia si multano persone che si abbracciano o che mostrano "atteggiamenti di arroganza, al limite del bullismo" nei confronti delle forze dell'ordine, a Milano il Sindaco gioca con le lancette con il rischio di aumentare la presenza di persone nella stessa fascia oraria, al Viminale si ragiona su come rendere meno cervellotica l'interpretazione di norme confuse e debolissime (che hanno scritto loro), a Chigi si immagina di usare gli assistenti civici per "consigliare" i cittadini sui comportamenti corretti da seguire (una ronda di buoni consiglieri, si saranno ispirati a qualche racconto di Philip K. Dick). Un frullatore impazzito che mescola cause e conseguenze, colpe e responsabilità: proprio quello di cui avevamo un disperato bisogno in questa fase.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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