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I “furbetti delle missioni”: assenti in Parlamento, vengono pagati lo stesso

Un’inchiesta del Fatto Quotidiano mette in luce il problema dell’abuso dell’istituto della missione parlamentare, che permette agli onorevoli assenti dall’aula per giustificati motivi, di essere comunque conteggiati come presenti e di essere pertanto retribuiti. Tra i “furbetti della missione” spiccherebbero Renato Brunetta, Valentina Vezzali, Luca Lotti e anche il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, che ha replicato spiegando che le sue missioni sono in realtà tutte veritiere e comprovabili.
A cura di Charlotte Matteini
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In un articolo pubblicato stamane dal Fatto Quotidiano, il giornalista Thomas Mackinson ha raccontato come viene spesso impiegato dai parlamentari l'istituto delle cosiddette "missioni", una sorta di "assenza giustificata", ovvero quella che permette agli onorevoli impegnati in qualche incarico per la Camera, ma fuori dalla sede, di essere computati come presenti in Aula e dunque, di conseguenza, anche retribuiti. Chi è in missione, spiega Mackinson, ha diritto a percepire l'intera diaria, oltre allo stipendio parlamentare e non è raro che gli onorevoli ricorrano all'istituto della missione per lavorare nei propri uffici oppure fare campagna elettorale, ma molto spesso risultano invece impegnati in attività che nulla avrebbero a che fare con la politica: ospitate televisive, allenamenti in palestra, inaugurazioni di negozi e quant'altro. Ottenere l'autorizzazione è semplice: basta mandare un fax e l'Assemblea si limita a registrare senza verificare. "Renato Brunetta che sta in tv anziché in aula, Michela Vittoria Brambilla che si defila dalle sedute per inaugurare ipermercati. C’è chi, come Valentina Vezzali, esercita il suo mandato direttamente in palestra", scrive Mackinson, chiedendosi per quale motivo nessuno denunci questa sorta di abuso a danno dei contribuenti.

"Perché nessuno denuncia questo andazzo? Perché troppi ne beneficiano, a volte per “missioni” assai poco probabili sulle quali i vertici di Montecitorio chiudono gli occhi e pure le orecchie: abbiamo chiesto più volte all’Ufficio di presidenza e al Servizio assemblea di poter consultare le richieste che hanno autorizzato al fine di verificare la rispondenza tra l’oggetto della missione dichiarata e la reale natura degli impegni poi svolti dai deputati fuori dal Parlamento. Non li abbiamo mai ricevuti, neppure sollecitando segreterie e portavoce di alcuni parlamentari. Ecco cosa è emerso da ricostruzioni empiriche, sulla base dei resoconti d’aula e delle cronache di giornata".

Oltre a Renato Brunetta, Michela Vittoria Brambilla, Valentina Vezzali e il neo-ministro dello Sport Luca Lotti a finire nel calderone dei furbetti delle missioni c'è anche il vicepresidente della Camera e deputato del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio. Al centro della polemica qualche mese fa, in seguito a uno scontro con l'ex presidente del Consiglio, nel quale Matteo Renzi evidenziò che l'esponente dei Cinque Stelle – che nel nome del taglio delle indennità parlamentari e contro l'assenteismo ha sempre fatto grandi battaglie politiche – totalizzava dati alla mano solo il 37% delle presenze in Aula. Ai rilievi di Renzi, Di Maio spiegò che contando le missioni parlamentari il suo tasso era invece pari all'88%, quindi ben al di sopra della media.

"L’esponente M5S –a cui abbiamo formalmente chiesto spiegazioni per sei date, da luglio a oggi –non risponde, forse per stile o forse perché sa che le missioni dichiarate sono spesso fittizie e raramente aderenti al dettato del regolamento della Camera che lui ben conosce, essendone vicepresidente. La libera uscita, per titolari di cariche interne, dovrebbe essere “per incarico connesso con l’esercizio di funzioni istituzionali”. Gli impegni espletati però sono di altra natura, prettamente politica. Per la quale sarebbe stato più corretto indicare l’assenza anziché la missione", spiega Mackinson.

Luigi Di Maio ha risposto al cronista autore del pezzo con un lungo post su Facebook, spiegando per quale motivo quelle avanzate da Mackinson sarebbero solo illazioni:

"Stamattina mi viene dato del ‘furbetto che si fa pagare per finta missione'. Questo non è assolutamente vero e vi spiego perché:

1) Nelle date in cui è previsto che presiedano l'Assemblea, i Vicepresidenti vengono collocati automaticamente in missione per l'intera giornata, in quanto al di là dei turni, possono subentrare in qualsiasi momento alla presidenza a seconda delle necessità. Pertanto anche quando il turno riguarda solo la mattina o il pomeriggio e mi alterno con un altro Vicepresidente della Camera, per l'altra metà sono comunque in missione. In quelle giornate svolgo anche altro genere di attività politiche.

2) La verifica della presenza dei deputati in Aula, ai fini dell'eventuale ritenuta sulla diaria, avviene solo in occasione delle votazioni. Quindi, la missione è una giustificazione dell’assenza, rilevante ai fini della diaria, solo nel caso in cui queste siano previste. Il 17 ottobre e il 21 ottobre – date citate dall'articolo in questione – non si sono svolte votazioni in Assemblea, quindi non vedo quale vantaggio avrei potuto trarre dalla missione. Il 16 ottobre era addirittura domenica.

3) Richiedo la missione anche per incontrare ambasciatori, per preparare la seduta della settimana dopo, per ricevere dirigenti e personale della Camera, per organizzare le sedute del Comitato che presiedo, per le visite istituzionali, per le missioni in rappresentanza della Camera. In questi casi, la regola alla Camera è che la missione non venga concessa ad ore, bensì per tutta la parte antimeridiana e/o pomeridiana della seduta. Ovvero resto comunque in missione, qualora, dopo quelle istituzionali, dovessi partecipare ad attività successive che non siano esclusivamente istituzionali. È il caso del 2 novembre.

Inoltre ricordo che in 4 anni ho restituito allo Stato Italiano, tra rimborsi che non utilizzo e indennità varie, oltre 282.000 euro. Nel MoVimento 5 Stelle facciamo così.

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