La scena che vi mostriamo in foto non è certamente inusuale: Domenico Scilipoti che inscena una contestazione nei confronti della presidenza del Senato, agitando un cartello sotto lo sguardo divertito di Minzolini e finendo col subire il richiamo di Grasso e la censura dei commessi. La cosa sorprendente è che si è trattato di uno dei momenti meno caotici di questa intensa due giorni di lavori al Senato della Repubblica. Due giornate nelle quali l'Assemblea si è espressa sulla cruciale legge di stabilità e sull'altrettanto decisiva questione della decadenza di Silvio Berlusconi dalla carica senatoriale (tecnicamente la convalida della sua elezione in Molise).
Si è partiti col pasticcio del voto di fiducia sul maxi-emendamento interamente sostitutivo della legge di stabilità. Una decisione cui il Governo è arrivato dopo aver constatato che la mole di emendamenti presentati e le tante perplessità di opposizione e parte della maggioranza avrebbero ritardato di molto l'approvazione del provvedimento: tempo che, oggettivamente, il Governo non ha. Il punto è che la fretta ha comportato la presentazione di una relazione tecnica, di una sessantina di pagine ad un emendamento fatto di un unico articolo ed oltre 500 commi, piena di errori, lacune, contraddizioni, cancellature, spazi e pagine bianche. Un testo probabilmente inaccettabile e corretto mentre la discussione era in corso (con il successivo arrivo delle "tabelle riassuntive"), che è ovviamente finito al centro delle polemiche dei senatori. Questa volta ad animare l'opposizione parlamentare però non sono stati i grillini, bensì i "novelli oppositori" di Forza Italia (spalleggiati dai leghisti), decisamente più esperti in tema di cavilli regolamentari e meccanismi procedurali.
Così per ore la presidenza è stata subissata di richieste, obiezioni e contestazioni, con il ministro Franceschini che ha dovuto confermare che la relazione tecnica presentava lacune ed errori, trincerandosi però dietro la correttezza formale del testo presentato agli uffici del Senato e soprattutto dietro l'approvazione e la bollinatura della Ragioneria Generale dello Stato. Alcune espressioni bizzarre però lasciavano davvero interdetti. Ad esempio, come notato da Ferrara e Calderoli, ad un certo punto del testo alla voce coperture compariva la dicitura "chiedere a Riccardi", in un altro passaggio si notavano tre ripetizioni dello stesso emendamento e addirittura nel documento consegnato ai senatori comparivano ben 4 pagine completamente bianche. Un vero "giallo" risolto da Franceschini che parlava di "un errore della fotocopiatrice". Ma non basta, perché a pochi minuti dalla mezzanotte, il sottosegretario Legnini chiedeva di apportare alcune correzioni formali provocando la rabbia di Nitto Palma, Gasparri ed altri senatori forzisti che contestavano duramente il comportamento del Presidente di Grasso. Il quale, sentito anche il parere del Governo, non lasciava passare nulla: tutto confermato e, tra urla e proteste, via libera alla votazione con chiama nominale (e con scenette ridicole all'atto del voto). Alle 00:00 in punto.
Il giorno dopo le cose andavano, se possibile, ancora peggio. Perché la battaglia era sul destino di Silvio Berlusconi e si svolgeva su tre livelli: in Aula, in piazza e sui media. E coinvolgeva anche gli ex sodali di FI e NCD, nonché le responsabilità del M5S e del PD: insomma, un coacervo di ragioni e intenzioni che hanno reso infuocato il dibattito. Detto di Scilipoti si segnalavano, in ordine sparso, gli insulti di Alessandra Mussolini, il vestito a lutto delle senatrici forziste, la quasi – rissa fra Bondi e Formigoni, le inutili insistenze sul regolamento di Nitto Palma e Ferrara, le divisioni in Scelta Civica, gli "avvertimenti" al Presidente Grasso e al senatore Stefàno, gli appelli alla preservazione della libertà degli eletti pidiellini. L'apice si raggiungeva ovviamente con l'intervento della senatrice Taverna, che definire sopra le righe sarebbe riduttivo (al netto di ogni legittima valutazione personale sul contenuto del suo intervento): in un vortice di insulti, offese, accuse finivano il Cavaliere, gli eletti forzisti e i "collusi" del Pd e di Scelta Civica; mentre il tono della voce raggiungeva frequenze da stadio e, come in una curva durante un derby, dai banchi del centrodestra partivano raffiche di insulti, urla ed epiteti offensivi. Poco prima invece era partito il coro "Silvio, Silvio" e Scilipoti aveva ritentato la sortita verso i banchi della Presidenza. In chiusura l'intervento di Zanda, tanto incomprensibile quanto noioso, almeno serviva ad addormentare gli animi. Poi il voto, con procedimento elettronico. E la battaglia si spostava a favor di telecamere. E forse era anche peggio.