I dubbi dell’Anac sul Ponte sullo Stretto di Messina: “Rapporto squilibrato tra pubblico e privato”
Il presidente dell'Anac Giuseppe Busia ha avanzato dubbi sul Ponte sullo Stretto di Messina, per il quale sono state riattivate le attività di programmazione e progettazione con il decreto approvato in via definitiva al Senato lo scorso 24 maggio e da poco convertito in legge, che ha anche definito l'assetto della società Stretto di Messina Spa.
Nei contratti legati alla costruzione dell'infrastruttura – un ponte sospeso a campata unica, lungo 3,3 chilometri, alto 65 metri per consentire il transito di grandi navi, con 6 corsie stradali e 2 binari ferroviari, per una capacità dell'infrastruttura pari a 6.000 veicoli all'ora e 200 treni al giorno – l'Anac rileva "uno squilibrio nel rapporto tra il concedente pubblico e la parte privata, a danno del pubblico, sul quale finisce per essere trasferita la maggior parte dei rischi", ha detto il presidente Giuseppe Busia, illustrando la relazione dell’Autorità nazionale anticorruzione alla Camera.
"Con riferimento al recente decreto-legge" che ha riavviato l'iter di realizzazione del collegamento stabile tra Sicilia e Calabria, Busia non ha mancato di notare che l'operazione Ponte è stata rimessa in piedi "sulla base di un progetto elaborato oltre dieci anni fa".
"Sono stati, al riguardo, proposti alcuni interventi emendativi volti a rafforzare le garanzie della parte pubblica, non accolti, tuttavia, dal Governo in sede di conversione del decreto", ha aggiunto Busia.
"Anche la relazione del Presidente Anac Busia conferma la profonda preoccupazione che autorità di garanzia e di contrasto alla criminalità nutrono per l'abbassamento delle misure di prevenzione e contrasto alla corruzione che caratterizza l'operato del Governo Meloni. Svuotamento misure del Codice Appalti, decreto sul Ponte sullo Stretto, deroghe e misure che allentano controlli pubblici concomitanti come sul Pnrr, annunci di norme legislative che minano alla radice l'impegno contro la corruzione e la criminalità organizzata: sono alcuni dei capitoli di una azione di governo che non solo non velocizzerà procedure e tempi, ma rischia di aprire autostrade al malaffare e ai reati contro la pubblica amministrazione", ha commentato il senatore Walter Verini, membro della Commissione Giustizia e Capogruppo Pd in commissione Antimafia.
"Nei giorni scorsi – ha aggiunto – si sono levate le voci fortemente preoccupate della Procura Nazionale Antimafia, dell'ANM, di tante associazioni e forze sociali. Oggi è stata la volta del Presidente Anac. Il Governo ignora e vuole procedere. il Ministro sedicente ‘garantista' Nordio fischietta davanti a questi provvedimenti obiettivamente pericolosi. È importante reagire, opporsi, in Parlamento e nel Paese".
Per Busia alcune misure del Pnrr vanno rinegoziate
Nel suo intervento nella Sala della Regina della Camera dei deputati il presidente Anac ha parlato anche del Pnrr e della necessità di una sua rinegoziazione, dell'eccessivo utilizzo di deroghe e delle soglie alte nel nuovo Codice appalti, definite "scorciatoie meno efficienti e foriere di rischi", dei pericoli del subappalto a cascata.
Sul Pnrr "decisiva sarà la rinegoziazione di alcune misure", ha detto Busia. "Non tutti gli investimenti hanno la medesima urgenza. Per questo possono essere utilmente spostati su altri finanziamenti europei. Il Pnrr deve essere terreno condiviso, sottratto alla dialettica politica di corto respiro. Precondizione di tutto ciò è la massima trasparenza e controllabilità dei progetti e dello stato degli investimenti".
Sul nuovo Codice Appalti, Busia ha ribadito: "La deroga non può diventare regola, senza smarrire il suo significato e senza aprire a rischi ulteriori. Nel tempo in cui, grazie all'impiego delle piattaforme di approvvigionamento digitale ed all'uso di procedure automatizzate, è possibile ottenere rilevantissime semplificazioni e notevoli risparmi di tempo, accrescendo anche trasparenza e concorrenza, sorprende che per velocizzare le procedure si ricorra a scorciatoie certamente meno efficienti, e foriere di rischi. Tra queste, l'innalzamento delle soglie per gli affidamenti diretti, specie per servizi e forniture, o l'eliminazione di avvisi e bandi per i lavori fino a cinque milioni di euro".
Forte il richiamo poi alla qualificazione delle stazioni appaltanti, indispensabile per la modernizzazione dell'Italia e raggiungere standard europei. "Solo le amministrazioni in grado di utilizzare le più evolute tecnologie possono gestire le gare più complesse e procedure quali project financing e dialogo competitivo".
"Le potenzialità insite nella riforma – ha aggiunto – sono state, tuttavia, limitate innalzando a 500.000 euro la soglia oltre la quale è obbligatoria la qualificazione per l'affidamento di lavori pubblici, col risultato di escludere dal sistema di qualificazione quasi il 90% delle gare espletate".
"Non possiamo più sostenere un'architettura istituzionale in cui tutte le 26.500 stazioni appaltanti registrate possano svolgere qualunque tipo di acquisto, a prescindere dalle loro capacità. Occorre una drastica riduzione del loro numero, unitamente alla concentrazione delle procedure di affidamento in alcune decine di centrali di committenza specializzate, diffuse sul territorio, che diventino centri di competenza al servizio delle altre stazioni appaltanti. Si tratta di una necessità, non solo per rispondere all'obiettivo posto dal Pnrr, ma anche per assicurare procedure rapide, selezionare i migliori operatori e garantire maggiori risparmi nell'interesse generale".
Busia ha poi messo in guardia sui rischi del subappalto a cascata. "Il nuovo Codice – ha detto – ha eliminato il divieto del ‘subappalto a cascata'. Non possiamo dimenticare che tale istituto, per poter conservare una ragione economica, quasi sempre porta con sé, in ogni passaggio da un contraente a quello successivo, una progressiva riduzione del prezzo della prestazione. E questa necessariamente si scarica o sulla minore qualità delle opere, o sulle deteriori condizioni di lavoro del personale impiegato. Quando il ricorso al subappalto non è giustificato dalla specificità delle prestazioni da realizzare, mentre può risultare vantaggioso per il primo aggiudicatario, si rivela il più delle volte poco conveniente per la stazione appaltante, per i lavoratori e per le stesse imprese subappaltatrici, che vedono via via compressi i propri margini di profitto, rispetto a quanto avrebbero ottenuto come aggiudicatarie dirette".