I dati delle banche sui prestiti rivelano le bufale di Meloni sugli extraprofitti
Ospite della trasmissione di Mediaset Quarta Repubblica, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è tornata a parlare della tassa sugli extraprofitti delle banche. Come già nel corso della conferenza stampa di fine anno, Meloni ha difeso la retromarcia del governo sul tema e ha definito la scelta dell'esecutivo, un'operazione win-win per lo Stato. Ma a smentirla, sono i dati pubblicati dalla stessa Abi, l'Associazione bancaria italiana.
Come noto, dopo aver varato ad agosto una tassa sui margini d'interesse – definiti ingiusti – realizzati dalla banche nel corso del 2023, a settembre la maggioranza di centrodestra ha fatto dietrofront, cambiando la norma in parlamento. Con la nuova formulazione, in alternativa al pagamento dell'imposta, gli istituti possono scegliere di destinare alle proprie riserve di capitale una cifra pari a due volte e mezzo quanto dovuto. Ovviamente, tutte le grandi sigle del mondo del credito hanno deciso di tenere in pancia i soldi, anziché pagare l'imposta.
Secondo Meloni, tuttavia, l'operazione è perfettamente riuscita. Accantonando i fondi degli extraprofitti, infatti – ha sostenuto la premier in Tv -, una banca diventa più patrimonializzata e quindi "può concedere più crediti. Così non solo aiuta l'economia, ma fa più profitti e quindi paga più tasse". Ha concluso Meloni: "Per lo Stato è un'operazione win win, noi i soldi li prendiamo lo stesso". Ma le cose stanno davvero così?
Credito debole ed extraprofitti record
Per il momento sembra di no, almeno stando ai numeri pubblicati dall'Abi, l'associazione che riunisce le banche italiane. Come detto, la modifica della norma sugli extraprofitti è arrivata a settembre 2023. Nei mesi successivi però il credito concesso dalle banche non è aumentato, anzi. Il totale dei prestiti a ottobre 2023 è stato minore del 3,7 percento, rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. A novembre si è registrato il -3,5 percento anno su anno. A dicembre il -3,9 percento, per un ammontare complessivo di prestiti pari a 1.669,6 miliardi di euro, inferiore a quelli di agosto e settembre 2023, i mesi in cui la maggioranza sbandierava la versione originaria della tassa, senza alternative al prelievo.
Le cose cambiano poco, anche concentrando l'attenzione sul solo settore privato. Anche qui, le performance degli ultimi mesi del 2023 sono tutte inferiori rispetto all'anno precedente: -3,1 a ottobre e -3,2 a novembre e dicembre. L'ammontare dei prestiti ai privati di dicembre è stato di 1.428 miliardi, inferiore a quello di agosto e di settembre. Stessa cosa per quanto riguarda il credito a famiglie società non finanziarie: -3,2 percento a ottobre 2023 rispetto al 2022, -3,0 percento a novembre, -2,2 a dicembre. In questo caso, il volume totale dei prestiti nell'ultimo mese dell'anno, pari a 1296 miliardi è superiore a quella di settembre, ma inferiore rispetto ad agosto. Non solo, a ottobre è stata toccata la cifra più bassa di tutto il 2023.
Al momento, quindi, l'effetto traino sul credito annunciato da Meloni non c'è, così come non ci sono i conseguenti incassi aggiuntivi per lo Stato. Anzi, negli ultimi mesi del 2023 quasi tutti gli indicatori segnano una contrazione, rispetto alla prima parte dell'anno. D'altra parte, come spiega il documento dell'Abi, la domanda di nuovi prestiti rimane fiacca anche a causa dei tassi d'interesse, ancora vicini ai livelli record, con una media a dicembre del 4,76 per i prestiti a famiglie e imprese, sostanzialmente in linea con il mese precedente.
Di fronte a un mercato del credito così debole, ciò che continua a correre sono gli extraprofitti delle banche, quelli che il governo ha in sostanza rinunciato a tassare. Ad agosto 2023, quando Meloni aveva deciso di intervenire, il differenziale fra i tassi di interesse richiesto sui prestiti e quello riconosciuto ai clienti sui conti correnti e altre forme di raccolta era pari a 157 punti. Nei mesi successivi, il margine si è allargato ulteriormente, a favore degli istituti: 187 punti a settembre, 192 a ottobre e novembre. A dicembre, l'indicatore ha rotto la barriera dei 200 punti, arrivando fino a quota 220. Un incremento enorme del margine d'interesse e dei profitti conseguenti, su cui gli istituti non pagheranno un euro, con buona pace delle tesi di Meloni.