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Opinioni

Dieci grafici spiegano come la crisi ha reso l’Italia un Paese impaurito e sfiduciato

Le ultime rilevazioni dell’Istat fotografano un Paese in continua trasformazione, che sta (faticosamente) cercando di uscire da una crisi che non è stata solo economica. E che ci ha resi più poveri, più impauriti e sempre meno fiduciosi sulle nostre potenzialità.
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L’Istat ha da poco diffuso “Noi Italia”, una raccolta di analisi e rilevazioni statistiche che fotografa con nitidezza le condizioni di salute del sistema Italia. I dati diffusi forniscono una panoramica esaustiva e decisamente interessante, ma ovviamente si prestano a considerazioni di vario tipo. E, manco a dirlo, rappresentano il nuovo terreno dello scontro politico, tra ottimismo, disfattismo e strumentalizzazioni: il tutto in omaggio dell’adagio che recita che “il peggior uso della statistica è quando la si dedica a fini retorici o propagandistici”.

Il cherry picking, infatti, è operazione solita, usuale, finanche legittima in un certo senso (quando cioè si limita a isolare un aspetto, senza enfatizzarlo a discapito di altri, allo scopo di fornire informazioni più specifiche). A patto che non si trascuri il quadro d’insieme.

L’Italia sta faticosamente uscendo da una profonda crisi economica, che ha avuto ripercussioni enormi sul tessuto sociale e culturale e i cui effetti si sono fatti sentire su specifiche “classi” della popolazione.

Nel novembre dello scorso anno, in una relazione della Commissione Europea si notava come fosse ancora il retaggio della crisi economica a rappresentare una situazione di partenza problematica (basti solo considerare che nel 2015 il PIL reale dell’Italia era ai livelli del 2000, mentre quello della zona euro era a +10%, oppure valutare l’aumento della disoccupazione, anche di lunga durata). La ripresa, cominciata nel 2015 con la “modesta espansione dell’economia”, dovrebbe proseguire anche nel 2016 e nel 2017, ma resta inficiata da quelle che la Ue considera “debolezze strutturali”, che impediscono di resistere agli shock economici.

L’esame della Ue si era concluso con una serie di “sfide politiche collegate”, di indicazioni e allarmi. I dieci buoni consigli europei erano sostanzialmente i seguenti:

  1. Crescita della produttività
  2. Ulteriore riduzione del rapporto debito pubblico / Pil (prevista per 2016 / 2017 assieme però a riduzione avanzo primario)
  3. Lotta al basso tasso di inflazione
  4. Lotta alla disoccupazione di lunga durata, all’esclusione dal mercato del lavoro, alla disoccupazione giovanile
  5. Stabilizzazione del sistema bancario, dove persistono “sacche di vulnerabilità”
  6. Abbassamento della pressione fiscale suo “fattori produttivi” (in tale contesto la Ue torna a bocciare abolizione Imu prima casa)
  7. Riforma della PA che colmi le inefficienze del settore pubblico
  8. Rimozioni degli ostacoli alla concorrenza nel settore imprenditoriale
  9. Ulteriore aumento degli investimenti nel settore scolastico, della ricerca scientifica e dell’innovazione
  10. Riforma dei servizi sociali, lotta alla povertà e all’esclusione sociale

Indicazioni che stiamo sostanzialmente seguendo, con qualche aggiustamento in corso d'opera e qualche scostamento dettato dalla necessità di non disgregare completamente un tessuto sociale messo a dura prova da anni di crisi. Che questa sia la ricetta giusta è tutto da dimostrare, malgrado qualche primo segnale di miglioramento in questi ultimi mesi. Certo, ci sono terreni su cui il nostro Paese ha fatto ben più di qualche passo in avanti, ci sono sfide che stiamo vincendo e segnali concreti che lasciano presagire un futuro migliore.

Ma c'è il risvolto della medaglia, ovviamente. C'è il costo della crisi. C'è il conto salato, salatissimo, che hanno pagato alcuni e non altri.

Ma c'è anche, anzi soprattutto, il "risultato" di un lungo periodo di crisi, cambiamenti, trasformazioni. Un periodo che ha modificato nel profondo la società italiana, restituendoci un nuovo Paese, più moderno per certi versi, ma in definitiva meno inclusivo e accogliente, meno solidale ed equo. Non è un Paese per giovani, prima di tutto:

 

No, non lo è davvero:

 

Ma forse non è più nemmeno un Paese per pensionati, considerando quante persone sono "coperte" da prestazioni previdenziali:

 

Del resto, le stesse famiglie non se la sono passata bene durante il periodo della crisi economica:

 

Sulla percezione della nostra condizione economica, almeno stiamo migliorando in questi mesi:

 

Tale situazione causa inevitabilmente l’aumento della spesa per la protezione sociale, ovvero l’insieme dei costi sostenuti dagli organismi pubblici o privati per gli interventi finalizzati a sollevare le famiglie dall’insorgere di rischi o bisogni. È un dato fondamentale, perché restituisce la misura del “nuovo assistenzialismo”, tanto più necessario al crescere dei problemi economici delle famiglie italiane.

 

Per quel che riguarda la percezione sulla sicurezza, uno dei principali indicatori della qualità della vita, invece non possiamo dire altrettanto. Malgrado il calo complessivo dei reati, il bombardamento da parte dei media e le stesse condizioni economiche incidono sulla nostra "percezione di sicurezza" in modo impressionante:

 

In questo contesto, meno sicurezze economiche e meno tranquillità, spendiamo sempre meno per il nostro tempo libero e in particolare per svago e cultura:

 

E leggiamo sempre di meno (anche per gli ebook i dati non sono positivi, con un calo da 9.0 del 2013 a 8,3 del 2015), per quanto la cosa abbia oggettivamente poche spiegazioni. Il dato sulla percentuale di persone che ha letto almeno un libro nel corso dell'anno è abbastanza inquietante (forse sarà "colpa" delle serie tv…):

 

Persino l'andamento demografico sembra aver in qualche modo risentito di questo insieme di problemi:

 
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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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