“Ho bisogno di morire presto, ho diritto di farlo in Italia ma me lo impediscono”: la storia di Laura Santi

La situazione di Laura Santi, giornalista umbra di 50 anni, è peggiorata molto. Al punto che ora la donna, affetta da più di 25 anni dalla sclerosi multipla, ormai in forma avanzata, vorrebbe esercitare il suo diritto al suicidio assistito. La Regione Umbria e l'Asl di Perugia le avevano dato il via libera pochi mesi fa, e dopo due anni di battaglia legale avevano riconosciuto che Santi rispetta tutti i requisiti previsti dalla Corte costituzionale.
Ma ora che Santi – che inizialmente aveva deciso di continuare la sua battaglia politica – vuole esercitare questo diritto, le istituzioni si sono messe di mezzo. E quindi la 50enne valuta di andare in Svizzera: "Ho bisogno di morire presto", ha scritto in una lettera ai soci dell'Associazione Luca Coscioni, di cui è consigliera. Ma vorrebbe evitare di farlo "in un Paese straniero con persone estranee e seguire una procedura che francamente non pensavo di dover subire".
Santi ha spiegato: "Il motivo della mia scelta è soltanto il corpo. Tutte le sere il corpo mi parla e mi dice che è ora. Le giornate stanno diventando sempre più una tortura, sia per il caldo che comincia – e dovrei affrontare l'estate come l'anno scorso ma con dodici mesi in più di progressione clinica di malattia – sia i dolori (e ne stanno venendo di sempre nuovi), sia la paralisi progressiva, sia la fatica neurologica".
Le giornate, ha detto la giornalista, "si stanno svuotando di tutto a livello di minima attività e partecipazione sociale, sono sempre più un corpo inerte pieno di dolori". Da qui la scelta di rivolgersi a "un'organizzazione che si occupa di fornire l’aiuto alla morte volontaria in Svizzera".
Il problema è che in Italia il diritto di Santi, che pure una sentenza e numerosi accertamenti hanno stabilito senza dubbi, non è tutelato. "La mia Regione, l'Umbria, e la mia Asl, Perugia, non mi hanno dato mai risposta sulla modalità pratica per ottenere l’attuazione di quello che è un mio diritto riconosciuto su carta". Insomma, nonostante la donna abbia la possibilità teorica di accedere al suicidio, non le sono mai state date le informazioni su come farlo concretamente. Le istituzioni hanno continuato a sottrarsi alle richieste, finora, e quindi di fatto le hanno impedito di mettere in atto la sua volontà.
Non è solo una questione di principio: "Affrontare la Svizzera per me significa pianificare un viaggio di oltre nove ore, che saranno anche di più nelle mie condizioni". La donna ha "necessità di gestione vescicale e intestinale continua, incontinenze continue", la trasferta sarebbe "solo dolore protratto per oltre nove ore. Per cosa poi? Per andare in un Paese straniero con persone estranee e seguire una procedura che francamente non pensavo di dover subire".
Santi ha attaccato "l'inerzia di Regione Umbria", che la espone a "un calvario che si aggiunge a quello che già affronto ogni giorno con la malattia in progressione". La speranza è ancora che la Regione "ponga fine all’ostruzionismo" e le cose si sblocchino: "Continuerò fino all’ultimo momento utile, cioè fino al giorno prima di partire per la Svizzera, a battermi per ottenere il rispetto in Italia del diritto che mi è già stato riconosciuto sulla carta".
L'Italia resta senza una legge nazionale sul suicidio assistito, che è il motivo per cui Regioni, Asl, tribunali e non solo devono fare riferimento alle sentenze della Corte costituzionale. A febbraio la Toscana si è dotata di una legge regionale sul tema, la prima Regione a farlo.