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Opinioni

Ha ragione Sergio Mattarella e dobbiamo mettercelo in testa: si dice “sindaca”, “medica” e “avvocata”

La Lega è quella del “prima gli italiani”, ma mai quella del “prima l’italiano”. Eppure, ricordiamoci: se non abbiamo parole per definirci, anche la nostra identità sarà scarsa.
A cura di Saverio Tommasi
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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Se il presidente Mattarella non ci fosse, bisognerebbe eleggerlo. Ma facciamo un passo indietro: avete già letto frasi come queste? "Sta diventando sempre più difficile parlare, non si può più dire niente, si offendono tutti".
Dai, qualche volta vi sarà capitato di leggere frasi come queste o ascoltarle durante una conversazione. Dite la verità, a qualcuno di voi è capitato anche di pensarle, o pronunciarle in mezzo ad amici che avranno annuito, qualcuno con espliciti segni d'intesa.

Non siete dei mostri, ci mancherebbe altro. Perché la frase peggiore del mondo è "si è sempre fatto così", ma è in fondo anche una frase profondamente umana, è un rifugio, rappresenta la necessità di uno spazio protetto dentro il quale sentirsi a posto, completi e addirittura nel giusto.
Rifugiarsi nella tradizione, in suoni già sentiti, ripetuti, usuali, non ci mette in discussione. E allora è tutto più semplice, no? In realtà: no.

Mai come oggi è bello parlare perché la riflessione sul linguaggio ampio, per la prima volta nella Storia, è reale. Non abbiamo inventato i femminili, quelli sono (quasi) sempre esistiti, ma la riflessione sul loro utilizzo, o sul maschile sovraesteso come sciocco dominio, è questione del nostro tempo. Ed è bellissimo vivere in un'epoca in cui tutte le persone possono sentirsi rappresentate.

Faccio un passo indietro: qualche giorno fa il presidente Sergio Mattarella in conferenza stampa ha detto "sindaca", poi si è fermato un secondo e ha aggiunto: "spero si possa ancora dire sindaca", riferendosi in questo modo alla proposta della Lega di multare chi avesse osato utilizzare i termini femminili per le cariche pubbliche.
Sembra una battuta, ma non lo è: la Lega aveva davvero proposto una multa di 5.000 euro per chi avesse osato scrivere "sindaca", o "avvocata" negli atti pubblici.

Umberto Bossi fondò un partito partendo dal principio di non sopportare l'Italia. Le espressioni sull'utilizzo che avrebbe fatto della bandiera italiana sono entrate nei libretti di storia politica. Perciò non stupiamoci, che qualche reminiscenza sia rimasta e oggi – anche da nazionalisti – dimostrino di non sopportare la lingua italiana. Che però, appunto, continua a esistere nonostante la Lega, e coloro che pensano che parlare rivolgendosi alla maggioranza equivalga a parlare a ogni persona.

Puoi dire, anzi dovresti dire "sindaca" per riferirti al ruolo di una donna che è "prima cittadina" di una città. Se è uomo "sindaco", se è donna "sindaca". Se ci pensi, non è così strano.
Si può dire, anzi dovremmo dire "rettrice". Ma anche "avvocata". Si diceva "avvocatessa", anni fa, ma non essendo poi mai entrata questa parola davvero nell'uso, oggi si preferiscono i femminili a suffisso zero.
Si può dire "medica", nello Zanichelli c'è. Veniva già usato come aggettivo, possiamo usarlo come sostantivo. Medico se è un uomo, e medica se è una donna. Oppure "dottoressa" come femminile di "dottore".
"Direttrice" oppure "magistrata", ovviamente. Perché mai dovremmo dire "direttore" o "magistrato" quando a ricoprire quel ruolo è una donna?
In altri casi, invece, è sufficiente l'articolo. Ad esempio per indicare una presidente donna, diremo "la presidente". La parola "presidenta" è invece stata inventata per svilire la rivendicazione di un linguaggio ampio nella società contemporanea. Nessuno infatti ha mai realmente utilizzato la parola "presidenta", questa parola è sempre stata la clava con cui colpire chi tentava una riflessione diversa dall'uso del maschile sovraesteso. Questo perché le parole "presidente", come anche "dentista" o "giudice", sono di genere comune, e dunque è sufficiente cambiare l'articolo: la giudice, la dentista oppure la presidente. Facile, anzi di più: naturale. Sono regole di grammatica, ad esempio questa: le parole che finiscono con "ente" non hanno genere specifico, per questo rimangono invariate e cambia invece l'articolo che le accompagna.

A proposito: è la stessa cosa per la parola "giornalista". Non esiste "giornalisto", perché semplicemente quella "a" finale non rappresenta il femminile, ma il suffisso di derivazione greca che è "ista", che finisce in "a" sia per il maschile che per il femminile. Quindi anche qui basta cambiare l'articolo: un giornalista o una giornalista.

Una delle principali accuse all'utilizzo del linguaggio ampio è questa: "Non suona male? L'orecchio vuole la sua parte". Ne ho parlato con Vera Gheno, linguista, che ha risposto così: “Transustantazione suona male, ma comunque la usiamo. Noi nella nostra quotidianità non usiamo le parole in base alla loro eufonia. Se andiamo dall’elettrauto non gli diciamo ‘non me lo chiami spinterogeno perché sa, è cacofonico'. Nel quotidiano noi usiamo le parole che ci servono, non quelle che suonano bene”.
E quale linguaggio, più di un linguaggio ampio, suona bene agli orecchi di chi vuole rendere partecipi le persone, non discriminarle?

Sempre Vera Gheno: “Le parole servono per comunicare concetti, ma se sono povere, poche o sbagliate, lo saranno anche i concetti che vogliono esprimere”.
Provo a dirla semplice: le parole non sono un orpello, o un fermacravatta. Le parole servono per rappresentarci, per difenderci e anche per difendere coloro che per vari motivi, o accidenti nella vita, ne hanno meno nello zainetto invisibile che ognuno e ognuna di noi si porta dietro.
Le parole sono il nostro collante, e ci definiscono. Se non abbiamo parole per definirci, anche la nostra identità sarà scarsa, persa, non considerata nel dibattito pubblico perché non rappresentata. Se non abbiamo le parole, non possiamo essere pienamente noi stesse e noi stessi.

È tutta una questione di parlarsi, non addosso. Gli amanti si lasciano, per le parole non dette. Le persone muoiono, per le parole sbagliate.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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