Fedez ieri sera ha spaccato Sanremo.
Ha fatto più opposizione al governo Fedez in sessanta secondi di dissing che tutta l’opposizione messa insieme dal 22 ottobre.
Ha difeso la legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza, e ha ricordato l'impresa del viceministro Galeazzo Bignami vestito da nazista, con tanto di svastica esposta, a un simpatico Carnevale di qualche anno fa.
Galeazzo Bignami, prima promosso e poi blindato da questo governo, colui che Giovanni Donzelli difese dicendo: "Anch'io una volta a Carnevale mi sono vestito da Minnie, ma non sono Minnie".
Per questo oggi Fedez viene spernacchiato dai soloni, o ignorato: perché ha ragione. Ieri sera ha fatto arrossire i tremebondi, gli accomodanti, i timidi di spirito. Fedez ha spinto via quelli con una buona parola per tutti, che non prendono mai posizione ma siedono sempre comodi, quelli che non compromettono i rapporti con il governo neanche se stanno all’opposizione, perché “non si sa mai, magari un giorno potrebbe tornarci utile pure il busto di Mussolini in casa di Ignazio la Russa”.
Ve le immaginate le parlamentari del PD mentre gridano “Free the nipple", difendendo il diritto a non essere censurate per un capezzolo?
Ve l'immaginate la dirigenza del PD che manda a quel Paese – più o meno metaforicamente – Fratelli d’Italia mentre nel suo ruolo di governo, direttamente dal Parlamento italiano, ha chiesto un ripensamento sulla presenza al Festival della canzone di un cantante in base al fatto che possa sentirsi uomo o donna?
Io no, non me li immagino, e non è una bella notizia. Significa che Fedez è coraggioso, certo. Ma anche che l’opposizione in Italia sta accovacciata in un angolo, attendista. Rantola. Accarezza il cerchio e lenisce i dolori della botte.
Prima di Fedez, Chiara Ferragni che – con la scelta di un abito peccaminoso agli occhi dei bischeri e dei Pillon – ha trasformato l'immagine in messaggio. Un compito che un tempo aveva la politica: quello di trasformare un sogno in un'idea.
Accanto a Fedez, ieri sera anche un monologo durissimo e mirabile di Francesca Fagnani, che ha parlato di carcere e di minori, di violenza delle istituzioni e di scuola.
Ieri sera Francesca Fagnani ha parlato di Stato assente, non pervenuto, abbandonante nei confronti di chi a 15 anni ha la rabbia negli occhi e nessuna direzione. Non c’è niente di più radicale – come ha fatto Fagnani – che parlare di scuola e carcere insieme.
“Chi apre la porta di una scuola chiude una prigione”, diceva Victor Hugo. Aveva ragione, ma in Italia non lo sa il governo e lo ha dimenticato l’opposizione. Cosi in Italia per anni sono stati tolti soldi alla scuola pubblica per indirizzarli alla formazione privata, demolendo l’istruzione per tutti, e oggi con il nuovo governo ci si avvale pure del concetto classista di “merito”, senza dimenticare una strizzata d’occhio all’umiliazione.
Probabilmente senza neanche un’intenzione esplicita, ha fatto più cultura Fedez in sessanta secondi di dissing, che le correnti del maggiore partito d'opposizione dal 22 ottobre.
Fedez è un cantante, un imprenditore ricchissimo, un uomo di spettacolo. Fedez non è un politico. Anche per questo avrebbe potuto dire meno, accennare soltanto, sgusciare di lato, dare soltanto a intendere e fare comunque bella figura; invece ieri sera ha fatto nomi, ha rimestato nel fango (degli altri) e ha dato un tono al suo dire. Ha preso posizione. Siamo così poco abituati a qualcuno che “dica cose di sinistra”, qualcuno che non lisci il pelo (da lupo) al governo, che fa impressione vedere l’esercizio della libertà sul palco italiano per eccellenza.
Si mettano l'animo in pace i catoni e i salapuzio della società: ieri Fedez ha fatto quello che loro non fanno più: ha fatto cultura e opposizione alla barbarie.
L’articolo 21 della Costituzione non è un feticcio, è solo il suo continuo esercizio che è vincente, dirompente, capace di rompere i veli e indispettire più di qualcuno. Perché se non indispettisci nessuno – alla fine – sei inutile e stai comunque sulle scatole a tutti.