Un epilogo del genere probabilmente non se lo aspettava nemmeno Beppe Grillo. Che il Governo Letta dovesse avviarsi alla conclusione nel modo più caotico possibile, a causa della condanna / decadenza da senatore di Silvio Berlusconi e senza essere riuscito a portare a termine uno straccio di provvedimento in materia economico – fiscale (se non qualche brodino riscaldato per la disoccupazione giovanile) o aver fatto qualche passo avanti nel campo delle riforme istituzionali, in effetti non era cosa preventivabile. Certo, in casa 5 Stelle non si era mai palesato entusiasmo o ottimismo per il Governo delle larghe intese, ma un simile naufragio era tutto sommato poco probabile. Non fosse altro perché Letta avrebbe potuto governare sotto lo sguardo benevolo di Napolitano e con lo scudo sul quale erano incise le parole "responsabilità", "emergenza" e "crisi". E soprattutto perché, dopo aver perso milioni di voti, sembrava chiaro che per i partiti questa fosse l'ultima spiaggia, l'ultima occasione per dimostrare agli italiani che quanto fosse fallace la propaganda anti-casta.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti, con un clima da Prima Repubblica che circonda un esecutivo che, sia detto per inciso e come considerazione del tutto personale di chi scrive, peraltro sembra avere ben poche responsabilità nel naufragio complessivo della politica. Fallimento che ha probabilmente radici nelle opposte ragioni che avevano spinto Pd, Pdl e Scelta Civica a mettersi alle spalle anni di (reali o presunte) contrapposizioni. Tra chi proprio non aveva alternative per tornare al Governo (centristi ma non solo), chi era reduce da una batosta imprevedibile alla vigilia delle elezioni e chi pur avendo perso milioni di voti poteva non rinunciare alla "pacificazione" (che molti hanno scambiato per una sorta di condono politico – giudiziario, in realtà), la reggenza Letta rappresentava una garanzia, anzi, la sola garanzia. Ma tenere a bada le contraddizioni e le spinte centrifughe non è certo operazione semplice, soprattutto se al quadro aggiungiamo la condanna e l'interdizione di Berlusconi.
In un tale contesto lo "splendido isolamento" dei 5 Stelle, da pratica autolesionista è diventata scelta prospettica. Certo, in un primo momento la scelta di Grillo di bloccare ogni confronto / dialogo con le altre forze politiche aveva nei fatti portato all'emarginazione dei grillini in Parlamento, alla eliminazione di ogni possibilità di incidere in maniera efficace (salvo rarissimi provvedimenti passati nelle pieghe delle discussioni parlamentari) e ad una opposizione tutto sommato velleitaria. Ma, con il precipitare della situazione e con l'emergere dell'inconsistenza e dei limiti del compromesso Pd-Pdl-Sc, il Movimento 5 Stelle ha la possibilità di presentarsi davvero come la sola forza "altra" rispetto ad una politica vittima delle sue storiche contraddizioni.
È il momento decisivo e Grillo lo sa bene. Al punto da aver messo le mani avanti con largo anticipo: nessuna alleanza, no ad un nuovo caso Bersani, al voto subito anche con il Porcellum. Ma soprattutto preparando i suoi anche da un punto di vista psicologico a "competere per la vittoria", a provare cioè a presentare il Movimento 5 Stelle come forza di "lotta e di governo". Non che sia un passaggio facile, intendiamoci. Ma il momento è di quelli irripetibili, dato che appare come la concretizzazione lampante della lettura grillina d'antan: sono tutti uguali e hanno a cuore solo la propria autoconservazione. E allora ecco la vera sfida: prepararsi a governare il Paese. Proseguendo il percorso cominciato nei primi mesi di esperienza parlamentare, accelerando sul versante della formazione della nuova classe dirigente (il Corsera anticipa l'intenzione di "rinsaldare l'asse tra Milano – sede della Casaleggio associati e di alcuni incontri con Grillo – e Roma"), dotandosi di un programma finalmente completo ed articolato (piaccia o meno, il tanto sbandierato programma storico del M5S è ormai datato ed insufficiente) e spingendo sul terreno dello scontro ideologico fra il vecchio sistema Paese e la terra promessa a 5 Stelle.
Ma soprattutto Grillo conosce le insidie, avendo sperimentato sulla propria pelle le pressioni e la responsabilità di rappresentare un quarto degli elettori del Belpaese. E, sia detto come inciso, avendo già sbagliato abbastanza, soprattutto nel presentare il Movimento come forza escludente, non inclusiva. Per questo non sfuggano i richiami al senso di "comunità" e la necessità di una verifica costante dei progressi fatti dal punto di vista della crescita culturale e politica degli eletti grillini. Che hanno la responsabilità di non mostrare debolezze e di non fornire alibi o salvagenti al Governo, nel momento in cui, naufragate le larghe intese, alla politica tradizionale "non resterà che aggrapparsi a Napolitano". Il quale è ormai considerato dal capo politico del Movimento 5 Stelle l'ultimo baluardo dei partiti. E, siamo sicuri, sarà il prossimo bersaglio.