Alzi la mano chi non aspetta la giornata di domani, 15 ottobre, con trepidazione. Tiriamo a indovinare: nessuna mano alzata. Come prima della tempesta, oggi tira aria di quiete, nessuno si azzarda a fare pronostici o a prendere posizioni nette, come animaletti nelle tane aspettiamo di vedere cosa succederà, pur sapendo che comunque vada domani sarà una sconfitta per tutti.
Mentre il corpo sociale si disgrega in lotte fratricide, gli industriali, gli stessi che avrebbero sottoscritto una lettera d’amore a Karl Marx pur di cambiare codice Ateco e che in molti casi, un modo l’hanno trovato per non chiudere mai, indifferenti ai rischi che correvano i loro operai, si sfregano le mani. E lo Stato, che fa? Annaspa. Attaccato da entrambi i fianchi.
Da un lato lo Stato deve fronteggiare le richieste dei manifestanti, dall’altro deve fare lo stesso con le richieste degli industriali, che usano il green pass come un grimaldello per mettere in pratica il neoliberismo più sfrenato. Se lo Stato ha scelto di adottare la strategia del green pass è anche su pressione dell’imprenditoria rappresentata da Confindustria, che a luglio, in una proposta formale fatta arrivare sul tavolo del Governo, chiedeva la libertà del datore di lavoro ad attribuire al lavoratore sprovvisto di green pass “mansioni diverse da quelle normalmente esercitate, erogando la relativa retribuzione”. Fino al caso estremo: "Qualora ciò non fosse possibile, il datore dovrebbe poter non ammettere il soggetto al lavoro, con sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dell'azienda". E sempre Confindustria, con una circolare di due giorni fa, sostiene che “si può chiedere il risarcimento dei danni ai lavoratori senza Green Pass”. È a questo che ambiscono i poteri forti, quelli veri: licenziare, ridurre lo stipendio, intentare cause di risarcimento, è questa la libertà promossa da Confindunstria, ma il manifestante “no green pass” non lo sa, o fa finta di non saperlo, e tira dritto contro lo Stato.
Magliette con scritto “Boia chi molla”, svastiche tatuate e mostrate con orgoglio, l’immancabile “cuore immacolato di Maria” disegnato su almeno un cartello, la piazza andata in scena a Roma sabato scorso non era composta di soli fascisti, ci mancherebbe, anche se, giova sottolinearlo, le persone con cui scegliamo di accompagnarci ci qualificano e dicono molto di noi, sempre. Era una piazza eversiva, per certi trumpiana, sicuramente individualista fino allo stremo, proprio come piace ai neoliberisti.
Perché questi nuovi, inediti “no green pass”, non lottano per il salario minimo, per migliori condizioni economiche e di sicurezza sul lavoro, protestano contro i vaccini e il green pass in azienda, quindi, semmai, contro la sicurezza nei luoghi di lavoro (come spiegato punto per punto in questo articolo). A scanso di equivoci, non ne vogliano i nostalgici, ma c'entra poco o nulla anche la lotta di classe. E i portuali di Trieste che non si fermano nemmeno di fronte alla possibilità dei tamponi gratuiti paventata dal ministro Lamorgese sono l’esempio plastico di quanto la tutela del lavoro, con queste manifestazioni, non c’entri proprio niente. Fa un po’ specie vedere vecchi rifondaioli cercare di inserirsi in queste forme di disagio agibili e cavalcabili solo da destra anziché puntare sulla liberalizzazione dei brevetti che permetterebbe a tutti i Paesi, ricchi e poveri, di produrselo da soli il vaccino, senza passare dalle lobby farmaceutiche. L’unica giustificazione è che la levata di scudi contro il green pass, nella maggior parte dei casi, serva a nascondere la paura del vaccino. Una paura che non va dileggiata ma rispettata, perché legittima, umanissima.
A ben guardare è sempre lei, la paura della morte, a muovere le posizioni di ambo gli schieramenti, dei pro-vax integralisti, che rifuggono ogni sano dubbio, e i no-vax, più eterogenei di quanto si pensi, che trasformano i dubbi in certezze. In fondo si potrebbe partire da qui, dalla consapevolezza che a muoverci è la paura della morte e la paura della corruzione del nostro corpo, che è la nostra casa. Ma ammettere la paura a se stessi e agli altri è tra le cose più difficile al mondo, né si può pensare di conciliare i tempi lunghi dell’educazione alla salute pubblica con la necessità di vaccinare in fretta quante più persone per evitare altre stragi e chiusure. Se lo Stato reprime con la violenza le manifestazioni di domani sarà una sconfitta. Se il governo cederà e derogherà alla necessità di salvaguardare la salute pubblica in nome del diritto individuale sarà una sconfitta. Se la paura continuerà a muovere le persone, quali che siano, sarà una sconfitta. Comunque vada, una sconfitta.