Il 22 febbraio il Presidente del Consiglio festeggerà i due anni di permanenza a Palazzo Chigi. Il Governo ha cominciato i festeggiamenti da qualche settimana, realizzando una serie di slide che celebrano i risultati ottenuti in questi ventiquattro mesi. Lo stesso Matteo Renzi ha sottolineato come “la quantità di riforme realizzate è impressionante” e ha chiesto a tutti di condividere le slide e far girare sui social network il video celebrativo nell’ottica di “arrivare agli occhi e al cuore delle persone”.
Le slide sono ormai una costante della comunicazione renziana, rappresentano il fulcro dello storytelling di Governo e spesso sono le uniche informazioni di cui dispongono i giornalisti su un determinato provvedimento (accade soprattutto dopo un Consiglio dei ministri particolarmente impegnativo). Così deve essere sembrato naturale al Presidente del Consiglio impostare la campagna celebrativa per slide, con l'immancabile hashtag associato.
La scelta comunicativa del Governo è stata contestata dall'opposizione, che ha abbozzato qualche debunking o si è limitata a proporre una specie di contro-propaganda. Più interessante, a parere nostro, è provare a capire cosa invece non ha funzionato, al punto da non comparire nemmeno tra le voci di intervento.
Le unioni civili, lo ius soli
Ne abbiamo scritto più volte: nel campo dei diritti, l'azione del Governo Renzi è stata timida e poco incisiva, finendo col sommarsi a ritardi, inefficienze ed errori del Parlamento. Il riconoscimento delle unioni omosessuali è ormai diventato l'oggetto principale del dibattito politico attuale, ma va ricordato che si tratta di una questione su cui l'attuale Presidente del Consiglio si era speso moltissimo, a partire dalla sua campagna per le primarie del PD. Di rinvio in rinvio, complice l'ostruzionismo anche di parte della maggioranza di Governo, si è giunti a portare in Aula un testo senza relatore, senza parere del Governo, senza maggioranza politica e senza un accordo con la principale forza di opposizione (con responsabilità condivise, certo). Un fallimento, inutile usare giri di parole, cui si potrà porre rimedio nelle prossime settimane ma solo a prezzi altissimi.
Situazione simile per quel che concerne la discussione di una legge in materia di cittadinanza. Dopo la decisione di non confermare il ministro Kyenge, "spedita" al Parlamento Europeo senza troppi rimpianti (per la verità, oltre le dichiarazioni di rito, resta poco da ricordare della sua reggenza ministeriale), Renzi aveva garantito sulla possibilità di portare a casa la legge sullo ius soli, facendone anche nodo centrale di comizi e interventi pubblici. Anche in questo caso, tra ritardi e inadempienze, dopo 24 mesi abbiamo la calendarizzazione in Commissione di una proposta di legge: poco, molto poco per un "punto qualificante" del percorso di cambiamento del Paese.
In entrambi i casi non basta ad assolvere il Governo la scelta di "affidarsi" al Parlamento…
La spending review, la mini-crescita e il debito pubblico
Sulla spending review ha detto tutto la Corte dei Conti, mentre qui e qui trovate qualche spunto per approfondire, con tanto di replica del Tesoro (oggi Renzi in conferenza stampa ha ribadito che "la spending è più alta di quella prevista da Cottarelli"). In sostanza, però, possiamo dire che la rivoluzione epocale promessa da Renzi al momento del suo insediamento, semplicemente non c'è stata. E la spesa pubblica è rimasta sostanzialmente invariata.
Anche (ovviamente non solo) per questo motivo, il debito pubblico italiano continua ad aumentare, oltre ogni previsione e stima. Per ora il Governo, parole di Renzi, si trincera dietro un "se la crescita è all'1,4 e il deficit al 2,4, per la prima volta ridurremo il rapporto deficit Pil"; ma queste restano stime dell'esecutivo, per quanto "prudenziali". Sulla questione è chiarissimo Ferruccio De Bortoli, in questo editoriale:
L’amara realtà, di cui nel conformismo dilagante pochi discutono, è che abbiamo allegramente sottovalutato, in questi due anni, il peso del nostro debito (in aumento nel 2015 di 34 miliardi, a quota 2.169,9), riempiendoci la bocca di false giustificazioni, guardando stupidamente i conti degli altri in più rapido peggioramento ma da livelli inferiori. I tedeschi lo considerano, esagerando, una colpa. Noi facciamo finta che non sia nostro. L’hanno fatto altri. Nei Comuni, nelle Regioni e nello Stato.
Certo, l'Italia sembra aver superato la fase emergenziale degli ultimi anni, ma senza una decisa inversione di tendenza dal punto di vista della crescita economica complessiva, non potremmo ancora dirci "fuori pericolo". E non è un caso che la discrepanza fra le previsioni del Governo, della Ue e degli istituti di rilevazione sia spesso piuttosto rilevante e fonte di polemiche politiche consistenti. Anche oggi in conferenza stampa, Renzi si è innervosito sul punto: "Le previsioni sono un film, la realtà è diversa". Ma la questione è decisiva e il perché abbiamo provato a spiegarvelo qui:
Perché questa differenza di stime è così rilevante? Lo spiega la nota del Centro Studi: “Le differenze riscontrate tra le previsioni dei tassi di crescita del PIL reale e dell'inflazione del Governo e della Commissione si riflettono in differenze nelle stime della dinamica del PIL nominale e, di qui, sull'andamento dei principali indicatori di finanza pubblica”.
Insomma, dai numeri dipendono gli equilibri di bilancio, dagli equilibri dipendono i margini di manovra, dai margini di manovra dipendono le scelte dei Governi, dalla scelte dei Governi dipende la loro sopravvivenza politica.
I voucher, gli inattivi e il lavoro "comprato" dal Governo
Gli ultimi dati Inps su assunzioni, trasformazioni e cessazioni dei rapporti di lavoro hanno evidenziato una serie di questioni di grande rilevanza: aumento dell’occupazione (la “la variazione netta, corrispondente alla differenza tra le posizioni di lavoro in essere al 31 dicembre 2015 e quelle al 31 dicembre 2014, è pari a 606mila unità”); aumento del numero di contratti a tempo indeterminato (+764mila unità); aumento del numero di occupati a termine (+85mila); esplosione dei voucher.
Se non ci sono dubbi sul fatto che le trasformazioni vadano accolte con favore (pur nella considerazione delle modifiche alla struttura del contratto stesse introdotte dal Jobs Act), restano una serie di perplessità sugli scenari futuri e sui limiti del progetto del Governo. Un aspetto lo evidenzia Bruno Anastasia su LaVoce.info, chiedendosi cosa potrebbe accadere con la fine dell’esonero contributivo e ipotizzando 4 scenari:
- L’artificializzazione del mercato del lavoro (l’occupazione drogata). Si assume che tutti i rapporti esonerati sono nati e durano solo in funzione dell’esonero triennale. Sono dunque tutti ancora vivi a fine 2015, rimangono tali per il 2016 e il 2017, muoiono tutti nel 2018 […] È uno scenario semplice, ma del tutto irrealistico […]
- Lo scenario “normale”: i tassi di sopravvivenza dei rapporti nati nel 2015 e beneficiari dell’esonero rimangono gli stessi […] In altre parole l’esonero ha fortemente aiutato la nascita di questi rapporti di lavoro per assunzioni o trasformazione, ma non ne modifica la speranza di vita. Sui livelli occupazionali si ripercuote solo il “salto” intervenuto nel 2015.
- Lo scenario “virtuoso”(incentivo al maggior utilizzo del capitale umano): l’esonero funziona come incentivo non solo alla nascita di rapporti a tempo indeterminato, ma anche all’aumento del loro mantenimento. […]
- Lo scenario “vizioso”: l’esonero funziona come nel caso precedente ma con la fine dell’esonero i tassi di mortalità accelerano vistosamente, fino a ridurre tutto il beneficio derivante dalla maggior natalità del 2015.
C'è un altro aspetto da non sottovalutare, e lo evidenzia Mario Seminerio sul suo blog: la crescita del numero di inattivi, secondo un fenomeno che non ha eguali in altri Paesi europei. I dati sono quelli Eurostat e necessitano probabilmente di ulteriori approfondimenti, di sicuro resta da capire quanto pesi il fattore “sfiducia / scoraggiamento” degli italiani, che escono dalla disoccupazione solo per entrare in una “enorme area grigia, quella della inattività, che persiste come polo d’attrazione dei flussi del mercato del lavoro”.
Resiste, anzi aumenta in modo quasi esponenziale, il ricorso a una delle forme di contratto di lavoro più precarie in assoluto: il voucher per la prestazione di lavoro accessorio. Analizzando i voucher da 10 euro, l’Inps rileva come l’incremento su base nazionale sia stato del 67,5%, con punte del 97,4% in Sicilia, dell’85,6% in Liguria e dell’83,1% e 83% rispettivamente in Abruzzo e in Puglia. Il problema è che, come vi abbiamo raccontato, “mentre si cancellavano i contratti a progetto, liberalizzare questa forma di lavoro, nata come una deroga per i lavori stagionali nei campi, significava aprire le porte di uno sfruttamento a mezzo buono pasto. Su cui enti locali e datori di lavoro si sono buttati a pesce”.
Il reato di immigrazione clandestina
Ne abbiamo scritto più volte: quella sul reddito di cittadinanza è probabilmente la pagina più buia dei due anni di Governo Renzi. Aver ottenuto dal parlamento la delega per trasformare in illecito amministrativo un reato inutile e dannoso, aver incassato una maggioranza schiacciante e non aver portato a compimento il percorso per meri calcoli elettoralistici è, lo diciamo senza girarci intorno, una vergogna. Qui, qui e qui qualche informazione in più, per contestualizzare il giudizio.
Il piano per il Mezzogiorno, la povertà, le partite Iva: le grandi incompiute
Ci sono altre questione che Renzi ha spesso differito, come nota tra l'altro anche il Guardian in uno speciale dedicato a questi primi ventiquattro mesi di Governo. C'è il caso banche (non solo Banca d'Etruria..), c'è il caos su trivellazioni e concessioni (con il referendum delle Regioni oggetto di un discutibilissimo boicottaggio), c'è la difficoltà con la quale ci si è approcciati alla riforma delle partite IVA e via discorrendo.
Due punti però ci sembrano significativi nel novero delle "incompiute" del Governo Renzi: un piano contro la povertà che tenga dentro una misura di sostegno al reddito, il ripensamento delle politiche per il Mezzogiorno.
Sul contrasto alla povertà, per ora, siamo fermi agli annunci e a una prima bozza di provvedimento, tra mille indiscrezioni. Ci sono però le prime risorse stanziate in legge di stabilità, ed è un passo fondamentale. Se non fosse una delle emergenze assolute del Paese, ci sarebbe da stare tranquilli senza fare troppi drammi. Peccato che non sia così.
Sul Mezzogiorno, ancora una volta siamo costretti a sottolineare come il Governo non abbia rispettato le tempistiche promesse. Dal piano che doveva essere pronto per i primi di settembre, passando per la presentazione delle linee guida, si era arrivati a una promessa: entro fine dicembre chiudiamo i tavoli di discussione con le Regioni e mettiamo in campo i progetti specifici. Al 22 febbraio, ciò che abbiamo è il nulla.