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Governo al lavoro per la legge sul doppio cognome ai figli a 5 anni dalla sentenza della Consulta

Sono passati cinque anni dalla sentenza della Corte Costituzionale che giudicava illegittima la legislazione per cui ai figli viene automaticamente attribuito il cognome del padre. In Senato è stato organizzato un convegno in cui si è parlato della questione in cui la ministra per le Pari Opportunità, Elena Bonetti, ha sottolineato che “la battaglia per il cognome materno è una battaglia di civiltà e un passo doveroso verso per la parità di genere”. E la presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, ha auspicato che la legge arrivi prima della fine della legislatura.
A cura di Annalisa Girardi
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Il Parlamento deve approvare "prima della fine della legislatura" una legge che assegni il doppio cognome per i figli, tanto quello del padre quanto quello della madre. È quanto ha auspicato la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati in un messaggio inviato al convegno organizzato dalla Rete per la parità e dall'Intergruppo delle donne a cinque anni dalla sentenza della Corte Costituzionale che giudicava illegittima la legislazione per cui ai figli viene automaticamente attribuito il cognome del padre. Cinque anni in cui sostanzialmente non è cambiato nulla. "Oggi l’intuizione di questa legge è matura per diventare possibilità e concretezza. Il Senato può davvero fare un passo straordinario. Da questa sera, da subito, il Parlamento faccia sul cognome materno un passo concreto con un impegno trasversale. Il Governo c’è, c’è un Paese che sta attendendo che questo impegno venga portato a compimento. È il passo giusto da fare, adesso", ha commentato la ministra per le pari opportunità, Elena Bonetti.

Il convegno, che ha avuto luogo in Senato, è stato chiamato proprio "Cinque anni devono bastare per la riforma del cognome". Bonetti ha aggiunto: "La battaglia per il cognome materno è una battaglia di civiltà e un passo doveroso verso per la parità di genere. La storia delle donne deve essere riconosciuta, il cognome costituisce una questione di identità: con il proprio cognome, ai figli si tramanda una storia che va declinata paritariamente, anche al femminile". Sottolineando poi che sul tema c'è trasversalità ampia da parte delle forze politiche: "Siamo tutti d’accordo che dobbiamo eliminare nel più breve tempo possibile uno stereotipo antistorico"

Era il 2016 quando la Corte Costituzionale stabiliva che la norma che assegnava il cognome del padre ai figli (e assegna tutt'oggi, a meno che i genitori non esprimano una volontà diversa) pregiudicasse "il diritto all’identità personale del minore" e costituisse "un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare".

La Consulta si era espressa in merito a una questione di legittimità costituzionale che era stata sollevata dalla Corte di Appello di Genova sul caso di una coppia che voleva dare al proprio figlio i cognomi di entrambi i genitori e aveva visto la richiesta respinta. I giudici costituzionali avevano dato ragione ai genitori, sottolineando anche "la perdurante violazione del principio di uguaglianza ‘morale e giuridica' dei coniugi, realizzata attraverso la mortificazione del diritto della madre a che il figlio acquisti anche il suo cognome". Per poi concludere: "Tale diversità di trattamento dei coniugi nell'attribuzione del cognome ai figli, in quanto espressione di una superata concezione patriarcale della famiglia e dei rapporti fra coniugi".

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