Gotor (Mdp): “Renzi incomprensibile, forse è una ritorsione contro Bankitalia”
"Apriamo gli occhi: si stanno creando le condizioni per una vera e propria "dittatura della maggioranza" che contribuirà all'ulteriore svalutazione delle istituzioni parlamentari. Una cosa gravissima in una democrazia parlamentare come l'Italia", così il senatore di Mdp Miguel Gotor, bersaniano, spiega in un'intervista a Fanpage.it la decisione di non votare la manovra di Bilancio, intervento giudicato insufficiente. Ed esprime sconcerto per il ritiro della legge sullo ius soli, e sulla decisione di porre la fiducia sulla legge elettorale.
Nella manovra mancano le vostre proposte, come l'abolizione del superticket sanitario. Se al Senato non ci sono margini di modifica, Mdp la voterà lo stesso?
La vicenda della fiducia sulla legge elettorale ha aperto una frattura tra noi e la maggioranza di governo. In assenza delle nostre proposte su fisco, sanità, età pensionabile, investimenti e lavoro non vedo le condizioni per un nostro voto favorevole a una manovra che si inserisce in continuità – nel metodo e nel merito – con le politiche renziane di questi anni (ad esempio con ancora bonus e sgravi fiscali e gran parte delle risorse messe per disattivare clausole sull'Iva).
Il Pd, tramite il deputato Edoardo Patriarca, ha detto che se Mdp dovesse bocciare la manovra si prenderebbe una grossa responsabilità, perché verrebbe bocciato anche il REI, che sarebbe, ha detto, "La prima manovra concreta da anni a questa parte contro la povertà".
Si tratta di un intervento che giudichiamo insufficiente. Non si preoccupi l'on. Patriarca, la manovra sarà approvata con i voti di Verdini, notoriamente sensibile a questo tipo di problemi. Negli ultimi giorni sono accaduti episodi assai gravi, dalla fiducia sulla legge elettorale al ritiro dello ius soli, all'irresponsabile e ingiustificata mozione sulla Banca d'Italia, che impongono una riflessione più generale sulla deriva centrista e populistica del Pd, promotore sulla legge elettorale di una vero e proprio strappo istituzionale e democratico. Se la fiducia sarà messa, come purtroppo sembra anche al Senato, si sta costituendo un precedente gravido di conseguenze: sarà la prima volta nella storia d'Italia che una legge elettorale sarà approvata in prima lettura con una doppia fiducia alla Camera e al Senato. Ciò avviene a quattro mesi dalle elezioni e così si ammette in futuro che qualunque maggioranza di governo, nell'imminenza della competizione elettorale, possa ritagliarsi una legge elettorale a propria immagine e convenienza che poi, dopo che il Parlamento sarà formato, la Corte costituzionale potrà eventualmente giudicare come incostituzionale, senza conseguenze pratiche. Apriamo gli occhi: si stanno creando le condizioni per una vera e propria "dittatura della maggioranza" che contribuirà all'ulteriore svalutazione delle istituzioni parlamentari. Una cosa gravissima in una democrazia parlamentare come l'Italia. Sono cose che possono forse avvenire in una Repubblica delle banane, non in un Paese dalla storia democratica come il nostro.
Ieri in un tweet lei ha criticato il tour di Renzi in treno, dicendo che è stata ripresa un'idea di Bersani, che però usava treni di linea.
Sul treno di Renzi direi che se la prima iniziativa, il giorno in cui partiva, è stata quella della mozione su Banca Italia gli consiglierei di sedersi dalla parte della direzione di marcia perché evidentemente lo soffre un po'. Quella mozione è incomprensibile e irresponsabile perché la Banca d'Italia è un'istituzione terza e di garanzia dall'importante prestigio nazionale ed europeo che non può essere gettata nella competizione elettorale con tanta leggerezza. Magari perché il papà della Boschi proprio dalla Banca d'Italia nel 2014 è stato sanzionato per «violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell'organizzazione e inesatte segnalazioni alla vigilanza». Se si trattasse di una ritorsione sarebbe incredibile e bene ha fatto il governatore Visco a ricordare di avere preso in questi ultimi anni tutte le decisioni in accordo col governo. Bene, se non sbaglio, il presidente del Consiglio dal 2014 in poi è stato proprio Renzi.
Se dovesse passare il Rosatellum che tipo di coalizione sarebbe pensabile? Renzi ha detto ieri che resta aperto ad una possibile alleanza con Pisapia e con Mdp.
Il Rosatellum prevede la possibilità di coalizioni farlocche e opportunistiche destinate ad alimentare ogni sorta di trasformismo. La storia renziana delle leggi elettorali degli ultimi 3-4 anni può essere letta in questo modo: vogliamo sapere la sera stessa delle elezioni chi ha vinto a patto che questo vincitore sia il Pd e quindi l'Italicum va bene; ma l'Italicum andava cambiato, annullando il ballottaggio, dal momento in cui si è scoperto (dopo le amministrative del 2016 in cui i 5 stelle vinsero 19 ballottaggi su 20) che i vincitori sarebbero potuti essere i Pentastellati; oggi, dopo il risultato del referendum del 4 dicembre, l'unica legge possibile è quella che non dà alcun vincitore e impedisce di formare una chiara maggioranza. In questo modo si apre la strada per un accordo post elettorale tra Berlusconi e Renzi per un governicchio di minoranza che non sarà all'altezza delle difficoltà che attendono l'Italia. Per quanto riguarda le parole di Renzi, siamo ormai al situazionismo: si dice una cosa e il suo contrario anche nel giro di qualche giorno facendola veicolare da 2-3 megafoni giornalistici che ormai tutti conoscono per vedere che effetto fa. Per costruire una coalizione servono tre condizioni: un programma comune, una premiership condivisa scelta mediante le primarie e una legge elettorale diversa dal Rosatellum, sul modello del Mattarellum, che vincoli in quella direzione dentro un quadro maggioritario. Allo stato attuale mancano tutte e tre le condizioni, a riprova che Renzi parla in un modo (e a giorni alterni in modo diverso), ma agisce al contrario. Noi stiamo ai fatti, non al gioco del cerino.
Alla celebrazione per i 10 anni del Pd sia Renzi sia Veltroni hanno citato il male peggiore della Sinistra, cioè la tendenza a dividersi. Renzi ha detto che senza la presenza del Pd in questi dieci anni la Sinistra in Italia avrebbe fatto la fine che ha fatto in altri Stati europei, come in Francia, Inghilterra, Olanda e Spagna, cioè sarebbe stata "irrilevante". Lei cosa ne pensa?
Letta e Renzi hanno governato per l'intera legislatura grazie al risultato elettorale del 2013. Vedremo cosa accadrà dopo. Ma il Pd in questi anni ha subito una vera e propria mutazione genetica – legittima, rispettabile, ma che non può essere obliterata – che a nostro giudizio ha tradito il suo spirito e vocazione originari. Per quanto mi riguarda è importante essere rilevante con le proprie idee perché se lo sei con le idee degli altri, magari dei tuoi avversari (penso all'abolizione dell'articolo 18 o della tassa sulla prima casa anche per i ricchi) non ha senso fare politica. Veltroni ha ragione a ricordare che in Italia il centrosinistra ha vinto solo quando la sinistra è stata unita, quella riformista con quella radicale e questo è stato lo spirito di tutto l'impegno politico di Romano Prodi. Aggiungo io, che il centrosinistra ha vinto anche quando è riuscito a separare la destra dai moderati, come avvenuto nel 1996. Ma non è possibile riscrivere la storia: la prima volta in cui si è realizzata una frattura tra sinistra riformista e la cosiddetta sinistra radicale è stato proprio in occasione delle elezioni del 2008, quelle che hanno tenuto a battesimo il Pd, con Veltroni segretario. In quella circostanza il Pd fece scattare il meccanismo del voto utile e la Lista Arcobaleno non entrò neppure in parlamento. Il risultato pratico fu che il centrodestra ci distanziò di oltre tre milioni di voti, vincendo le elezioni con un distacco che condannò la sinistra alla più grande sconfitta della sua storia. Su questo bisogna riflettere, con umiltà, per non commettere gli stessi errori.
Dopo un bilancio dell'esperienza del Pd di questi 10 anni pensa che sarebbe stato possibile cercare di ricompattarsi, piuttosto che continuare a dividersi?
Dopo avere dato prova di una santa pazienza nel corso di un quadriennio siamo usciti dal Pd su tre temi fondamentali per qualunque forza politica: la questione costituzionale (referendum istituzionale e Italicum), la questione fiscale (i bonus a pioggia per fini elettoralistici che hanno leso il principio della progressività fiscale che è il cuore di una proposta politica di sinistra) e la questione sociale (il jobs act, l'abolizione dell'articolo 18 e un'idea di lavoro impoverito e precarizzato che è fuori dal tempo rispetto all'attuale crisi della globalizzazione). Parlo di fatti e di cose concrete che vedo difficile possano «ricompattarsi», come dice lei, perché l'idee, i principi, i valori e gli interessi che vogliamo rappresentare non possono essere equiparati a un esercizio di compostaggio domestico.
Se come ha detto Gentiloni, entro questa legislatura si dovesse sul serio arrivare a calendarizzare lo ius soli, Mdp lo voterebbe?
Certo e lo voteremmo anche se fosse messa la fiducia. Il provvedimento sullo Ius soli sarebbe stato il primo realizzato da un governo guidato da Bersani. Anche se fosse l'ultimo di questa legislatura, sarebbe un traguardo troppo importante per non tagliarlo. Stiamo parlando di migliaia di bambini nati in Italia, cresciuti in Italia, scolarizzati in Italia, che parlano italiano e stanno in classe con nostri figli e verso i quali stiamo tradendo un patto di cittadinanza, ossia diritti e doveri, che peserà sulle loro vite.
In Sicilia secondo i sondaggi Fava prenderà più voti di Micari. In questo modo non c'è però il rischio di consegnare l'Isola al centrodestra o al M5S? Questa non potrebbe essere una nefasta anticipazione di quanto accadrebbe alle elezioni nazionali?
In Sicilia Articolo 1- Mdp era disposto a sostenere il rettore Micari nell'ambito di un'alleanza civica di centrosinistra. Quando il Pd di Renzi si è seduto al tavolo, dopo avere risolto nel modo con cui ha risolto la questione Crocetta, ha posto come condizione l'ingresso nella coalizione del partito di Alfano, vale a dire l'ex segretario del Pdl, un protagonista degli ultimi quindici anni della stagione berlusconiana. La condizione non era discutibile perché configurava un patto a livello nazionale proprio sulla legge elettorale che strumentalizzava la Sicilia e la sua gente. Per noi una simile ipotesi non era percorribile e abbiamo candidato Claudio Fava, un uomo politico di valore e legato alla storia più bella e più drammatica della Sicilia, quella della lotta alla mafia. Saranno gli elettori siciliani a decidere, ma non possiamo prenderci in giro, ossia chiamare di centrosinistra un'alleanza che ha al suo interno un partito che si chiama "Nuovo centro destra" formato da fuoriusciti del Pdl, eletti nel 2013 con Berlusconi e, diciamo così, uno speciale radicamento proprio in Sicilia che, per quanto mi riguarda, non apprezzo.
Di Maio ha chiesto l'intervento dell'Osce per monitorare il voto in Sicilia. Salvini ha detto che che gli osservatori internazionali si mandano in genere nelle zone di guerra. Nemmeno Fava era d'accordo. Che idea si è fatto?
Che Di Maio le spara alte, un giorno si e l'altro pure, per coprire la pochezza di iniziativa politica dei 5 stelle e il tradimento di tante aspettative. Per questa ragione penso che la candidatura di Claudio Fava sia la migliore e la più competitiva.