Dove nascono le discriminazioni? Dove si blocca il processo di integrazione? Come intervenire sul clima di tensione e di contrapposizione che si crea fra immigrati e italiani? Sono queste alcune delle questioni che da mesi agitano la politica, alle prese non solo con la questione degli sbarchi, ma anche con le conseguenze dirette che il clima degli ultimi mesi avrà sugli stranieri che da anni vivono e lavorano in Italia. Più volte abbiamo cercato di mostrare come la questione migranti sia stata strumentalizzata e manipolata, vuoi per mere ragioni di propaganda elettorale, vuoi per interessi di bottega, vuoi per alimentare la politica dell’emergenza.
Ora, un report di Openpolis ci consente di tornare su una questione della quale spesso si parla a sproposito: il rapporto fra migranti e settori produttivi, l’impatto della manodopera straniera sull’economia italiana, la “concorrenza al ribasso” degli immigrati nei confronti dei lavoratori italiani.
Cominciamo appunto dai numeri: gli stranieri residenti in Italia sono circa 5 milioni, ma il trend è in decisa crescita (erano 1,9 milioni nel 2004, 2,6 milioni nel 2007, 3,6 milioni nel 2010, 4,4 milioni nel 2013). Il 21% è di origine romena, poi albanese (11%), marocchina (10%), cinese (5%) e ucraina (4%); a fine 2013 per ogni 100 bambini nati, 15 avevano entrambi i genitori stranieri. Gli extracomunitari regolarmente residenti in Italia sono circa 4 milioni, la metà dei quali ha un permesso di soggiorno di lungo periodo.
Quello dei permessi di soggiorno è un aspetto cruciale, che basterebbe da solo a smontare tonnellate di propaganda sulla questione “invasione a mezzo sbarchi”. Openpolis mostra i motivi della concessione dei permessi di soggiorno:
Scuola, famiglia, lavoro sono le coordinate con le quali leggere la questione "integrazione". E capire anche il peso che ha la "percezione" delle questioni, tanto tra gli stessi immigrati quanto nella società italiana.
La base di analisi migliore è un report Istat pubblicato alla fine di ottobre del 2014, di cui abbiamo parlato nel dettaglio qui:
Sul “dove” nascano le discriminazioni ci sono pochi dubbi: sul posto di lavoro, secondo una lettura che non fa che rafforzare l’idea che il fulcro del problema integrazione sia nei rapporti di produzione / consumo / retribuzione e nella forbice reddituale. Il 30% circa della popolazione straniera dichiara di aver subito una qualche forma di discriminazione in Italia (“stranieri cioè che ritengono di essere stati trattati in maniera meno favorevole di altri per alcune caratteristiche fisiche o mentali, per le origini straniere o altre caratteristiche personali non rilevanti ai fini dell’attività da svolgere o del contesto in cui si sono trovati”). Come detto, l’indagine mostra come “trattamenti discriminatori sono più frequenti in ambito lavorativo: il 19,2% degli stranieri di 15 anni e più, circa 555 mila persone, afferma di aver subìto un trattamento meno favorevole mentre lavorava o cercava lavoro. La situazione appare più diffusa sul lavoro (16,9%) piuttosto che nella ricerca del lavoro (9,3%), senza evidenti differenze di genere”. Il clima ostile si manifesterebbe soprattutto da parte di colleghi, superiori o clienti e si concretizzerebbe sia in carichi di lavoro più pesanti della media, sia nella retribuzioni inferiore.
Proviamo ad analizzare la questione della retribuzione, che ne è senza dubbio un aspetto caratterizzante, come rileva anche l'Istat.
Cominciamo col dire che l’ottanta percento dei lavoratori extracomunitari guadagna meno di 1200 euro al mese, il 40% guadagna meno di 800 euro al mese. Il confronto per le diverse classi di retribuzione fra lavoratori extracomunitari, comunitari e italiani, è impietoso:
Ovviamente il confronto acquista una maggiore rilevanza "a parità di mansione". E sempre un grafico di Openpolis evidenzia la disparità di retribuzione:
Insomma, questo è uno dei pochi casi in cui la "percezione della discriminazione" combacia esattamente con la realtà dei fatti. E non è un problema di poco conto. La stessa Ocse, in uno studio del 2013 ripreso dalla Fondazione Leone Moressa, spiega che affinché gli effetti dell’immigrazione siano positivi per l’economia è necessario che si proceda ad una integrazione vera nel mondo del lavoro, che offra opportunità di crescita per gli immigrati, che “oggi svolgono lavori sottopagati o snobbati dagli italiani”. E certamente chi parla di “concorrenza sleale” da parte dei migranti deresponsabilizza gli imprenditori che se ne approfittano (per non parlare della questione caporalato) e le istituzioni che non controllano (poi, sulla questione "ci rubano il lavoro", vi segnaliamo questo post di Valigia Blu).