Stampatevele in testa le parole di Matteo Salvini che grida vergogna contro Italia, Europa, Occidente e che urla che “lasciare donne e bambini in mano ai tagliagole islamici, dopo anni di battaglie e sofferenza, non è umano”. E stampatevi pure quelle di Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, secondo cui “ci siano delle guerre per le quali e' giusto sacrificarsi”, e che quella a Kabul, oggi, sia una di queste.
Stampatevele bene in testa e tenetevele buone per domani, quando i Salvini, i Toti, le Meloni ci diranno che per le vittime dei Taliban – che stanno entrando a Kabulcon la complice arrendevolezza degli Usa di Biden e di Trump, ma anche della Russia di Putin e della Cina, e il favore di quel Qatar che andremo a celebrare coi mondiali di calcio il prossimo Natale – non c’è posto da noi.
Perché sì, questa ritirata strategica dalla polveriera afghana dopo vent’anni di combattimenti e migliaia di miliardi di dollari spesi produrrà, come primo effetto, centinaia di migliaia – se non milioni – di profughi. Gli stessi profughi provocati dalla guerra in Iraq e poi in Siria, che l’Europa buona ha prima fatto finta di accogliere con l’Inno alla Gioia e che poi ha abbandonato nei lager turchi pagando fior di miliardi al tiranno Erdogan (copyright di Mario Draghi), affinché ce li tenesse lontani.
Ricordatevelo oggi, mentre leggete fiumi di retorica sui bambini di Kabul e sulle ragazze dell’università di Herat, e sulla lista delle donne nubili che i Taliban stanno stilando città per città. Quelle stesse donne e quegli stessi uomini di cui oggi ci stiamo riempiendo la bocca per puntare il dito contro i macellai islamisti sono gli stessi che chiameremo delinquenti quando li ritroveremo ammassati in qualche campo profughi a Lesbo o a Lampedusa. Gli stessi che faremo morire di freddo tra le montagne dei Balcani. Gli stessi cui daremo la caccia per mare e per terra, con cani ed elicotteri, perché “non possiamo accoglierli tutti”.
Ricordatevelo, perché quel che oggi sta succedendo in Afghanistan, succede tutti i giorni in Libia, nel Sahel, nel Tigray etiope, a tutte quelle donne e quegli uomini cui quotidianamente diciamo no, a per i quali nessuno dei coraggiosi che vorrebbero inviare soldati a Kabul si batte il petto, o prova la benché minima vergogna. Ricordatevelo, perché ve lo siete già dimenticato troppe volte.