Gli immigrati non rubano posti di lavoro e non danneggiano l’economia
Quella degli "immigrati che rubano i posti di lavoro" è una convinzione dura a morire, nonostante sia stata più volte oggetto di debunking dati e numeri alla mano. L'ultima smentita viene da oltreoceano, da uno studio della National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, che ha realizzato un'analisi sull’impatto economico e demografico dei flussi migratori negli Stati Uniti, da vent'anni a questa parte. Oggetto dello studio è stato l'influsso dell'immigrazione sul mercato del lavoro e sulle remunerazioni dei cittadini americani, nonché i costi e benefici sulle finanze pubbliche sia a livello federale che nei singoli Stati. Negli Usa del resto le dimensioni del fenomeno migratorio non sono trascurabili: circa 40 milioni di residenti sono nati altrove, e quasi altrettanti hanno almeno un genitore nato in un paese straniero. Un quarto di tutta la popolazione americana è composta da immigrati e dai loro figli.
Negli ultimi vent'anni in Usa l'immigrazione è continuata crescere a ritmo continuo: negli anni '80 in media entravano 600mila nuovi immigranti l'anno nei '90 800mila l'anno, e dal duemila la media è passata a un milioni di arrivi ogni dodici mesi. A questi numeri vanno aggiunti i clandestini, coloro che entrano senza Green Card: 11,1 milioni, che crescono a un ritmo stabile di 300 – 400mila nuovi arrivi all’anno. In definitiva, in un ventennio la percentuale della forza lavoro nata all’estero è passata dall’11% al 16%.
Quello che è venuto fuori dall'analisi è che in realtà l’immigrazione nel lungo periodo sembra avere un impatto scarso sulle condizioni di vita dei lavoratori già residenti. Le uniche conseguenze si hanno nella concorrenza "interna" tra migranti stessi: quelli arrivati più recentemente fanno concorrenza a quelli giunti prima, occupando posti, facendo scendere i salari. La sola altra situazione di potenziale conflitto riguarda i giovani che non hanno titoli di studio elevati, che devono affrontare l'arrivo di forze esterne ugualmente qualificate.
Per il resto, però, lo studio ha evidenziato come la ricaduta netta dell’immigrazione sull’economia americana sia nell'insieme positiva. Tra l'altro, l'onore sul bilancio pubblico derivante dagli immigrati non è così rilevante, considerato che è limitato sostanzialmente al costo dell’istruzione per i figli di immigrati di prima generazione. Una volta diventati adulti, questi soggetti inizieranno a pagare le tasse, "rimborsando" di fatto lo stato. Alla prima generazione i costi sono pari a 57 miliardi di dollari annui, dalla seconda in poi gli immigrati portano 30 miliardi di dollari ogni anno alle finanze pubbliche; e infine dalla terza il contributo netto ai conti pubblici sale a 223 miliardi annui.