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Gli alpini dovrebbero chiedere scusa a tutte le donne, anche se la denuncia è stata archiviata

Negli alpini ha prevalso lo spirito di Corpo: nessuno ha collaborato alla ricostruzione dei casi e si è arrivati all’archiviazione perché gli abusanti non sono rintracciabili.
A cura di Saverio Tommasi
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Le molestie degli alpini a Rimini
Le molestie degli alpini a Rimini

Quell’unica denuncia alle forze dell’Ordine poteva avere per gli alpini un valore simbolico enorme: avrebbero potuto appoggiarla, supportando la ragazza che aveva denunciato e aiutando lei e le forze dell’Ordine coinvolte nelle indagini a rintracciare gli alpini responsabili. Invece niente. Appartenenza di corpo, branco, omertà: è questo che ha prevalso nei vertici dell’Associazione nazionale degli alpini, che non ha collaborato fattivamente alla ricostruzione dei casi, neanche di quello sotto indagine, arrivando così a farlo archiviare per l’impossibilità di rintracciare gli abusanti.

Facciamo un passo indietro. La notizia la sapete: hanno archiviato l'unica denuncia per molestie dopo il raduno degli alpini a Rimini. L'hanno archiviata perché le indagini non sono state in grado di identificare i colpevoli, cioè di dare loro un volto. E per colpa di indagini che non sono risultate efficaci chi oggi si prende la colpa è la vittima, cioè l’unica donna che aveva formalizzato la sua denuncia alle forze dell’ordine, sperando fino all’ultimo che non fosse vero quello che in molti già sapevano: denunciare molestie e violenze sessuali, e ottenere giustizia, è difficilissimo. Il che risponde benissimo anche alla domanda: “Perché una sola denuncia formalizzata alle forze dell’Ordine?”

Perché come è accaduto anche in questo caso si viene presi di mira prima, banalizzando la violenza. Poi durante, come è accaduto, non credendo alle parole della ragazza. E poi anche alla fine, quando le indagini come in questo caso non riescono a dare un nome e un cognome al molestatore, la colpa è sempre – da troppi – attribuita alla vittima. Come se si fosse autopalpata, o insultata da sola, oppure le mani sotto la gonna infilate all'improvviso fossero state le sue. Colpa della donna molestata, insomma, se il responsabile non si è trovato. È questo il ragionamento perverso degli amici dei molestatori. Evidentemente durante l’abuso la donna avrebbe dovuto chiedere all'abusante nome e cognome, e non averlo fatto è una sua colpa (mood ironico ma non c'è niente da ridere).

Come se un ladro ti entrasse in casa, tu denunciassi, le forze dell’ordine non trovassero il ladro e allora la colpa diventasse automaticamente di quello che si è trovato la casa svaligiata. Comprendete l’assurdità della situazione, vero?

In questo caso, se possibile, è ancora peggio perché ha vinto lo spirito di corpo militare, che significa silenzio e si traduce con la parola complicità. In particolare: a fronte di centinaia di racconti e denunce pubbliche di quanto accaduto durante il ritrovo degli alpini a Rimini – moltissime le ragazzine anche minorenni che hanno raccontato di aver subito abusi e violenze non soltanto verbali – gli alpini nella loro interezza non sono stati in grado di trovare e buttare fuori dal loro Corpo o dall'Associazione nazionale uno soltanto dei loro aderenti o simpatizzanti. O non sono stati in grado o semplicemente non hanno voluto. Ma è davvero possibile che non abbiano visto quello che tutti hanno visto, raccontato e anche documentato in video?

Permettetemi di dirlo: no, non è credibile una ricostruzione del genere.

Io in quelle sere di bisboccia per gli alpini, non avevo occhiali a raggi X o super poteri, e come ho visto io hanno visto tutti coloro che erano per le strade in quei giorni di “ritrovo nazionale”. E se proprio le molestie qualcuno non le avesse viste, foderato di prosciutto nelle orecchie e bende sugli occhi, ci sono comunque i video e le denunce pubbliche a cui chiunque ha potuto fare riferimento, per rendersi conto di quello che è accaduto e accade sistematicamente durante ogni loro ritrovo nazionale.

Per questo gli alpini oggi (come ieri) dovrebbero scusarsi: per aver permesso, anche in questo raduno, che simpatizzanti vari e variegati importunassero, molestassero e agissero violentemente contro donne e ragazze, anche minorenni, che semplicemente passeggiavano per strada o si recavano dal tabaccaio.
E dovrebbero chiedere perdono in ginocchio alle femministe, e in generale a tutte le persone di buona volontà che hanno appoggiato la richiesta di chiarimenti da parte dei vertici del Corpo degli alpini, perché aver sviato è una colpa, e aver chiamato delle molestie "eventuali atti di maleducazione" è una complicità non emendabile.

Eppure sarebbe stato così semplice prendere subito le distanze. Sarebbe stato così semplice affermare a gran voce che quella gentaglia molestante non aveva niente a che fare con lo spirito degli alpini e con il Corpo stesso. Invece no, anche dai vertici hanno scelto il silenzio, fino ad arrivare oggi all’archiviazione perché “non è stato possibile individuare le generalità dei responsabili".

Almeno, da oggi, non chiedeteci più di sorridere quando vediamo un cappello da alpino. Perché le generalizzazioni ci fanno orrore, però questa se la sono cercata con il lanternino, difendendo – per mesi  – atteggiamenti violenti e intollerabili, invece di aiutare le forze dell'Ordine nelle indagini. La notizia è che ci sono riusciti: l'unica indagine aperta è stata archiviata perché non sono riusciti a trovare gli abusanti; il silenzio ha pagato, ma i video girati resteranno a memoria e traccia: nessuno ha più voglia di tacere.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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