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Opinioni

Perché Conte non sarà mai un Presidente del Consiglio “normale”

Il comportamento in Parlamento di Giuseppe Conte, passato in pochi mesi da essere “l’avvocato del popolo” al “garante delle istituzioni”, evidenzia il disperato bisogno di normalità di cui avrebbero bisogno la politica e il Paese. E che anche stavolta resterà solo nelle intenzioni, sacrificato sull’altare delle strategie di palazzo e della dittatura del consenso.
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Un governo della normalità, che usi un linguaggio mite e misurato, che rispetti le prassi e le forme dei rapporti istituzionali, che instauri un rapporto di fiducia con gli italiani e i partner internazionali. Un Presidente del Consiglio normale, che rinunci agli slogan bellicosi e ai proclami epocali, ma si concentri sul suo ruolo di guida e garante dell’alleanza politica che lo sostiene, dando dignità e prestigio al suo profilo istituzionale. Una squadra dei ministri normale che lavori pensando esclusivamente al bene comune, che sia “sobria nelle parole e operosa nelle azioni”, anche attraverso un “utilizzo responsabile dei social network”.

La parentesi gialloverde ha lasciato macerie, nei modi, nei toni e nelle forme, portando all’esasperazione un processo che peraltro era già in atto da anni, e Conte si carica sulle spalle il fardello più pesante: quello di restituire dignità e contegno alle dinamiche della politica, cercando di cambiarne la percezione agli occhi dell’opinione pubblica e dei partner internazionali. Se c’è un elemento di discontinuità che emerge rispetto al passato è questo: la tensione verso la normalizzazione del quadro politico, l’idea che si possa impostare una linea di governo a partire da un approccio serio, ragionato, mite. Giuseppe Conte in soli 14 mesi è passato da porsi come “avvocato del popolo” a “garante della stabilità istituzionale”, non un passo da poco.

Con il suo discorso e ancora di più con il suo approccio, Conte spinge per una normalizzazione del quadro politico, che passi prima di tutto per il rispetto di prassi consolidate e strutture del vecchio mondo della politica e delle istituzioni. In tal senso lo aiuta anche la polarizzazione dello scontro da parte dell’opposizione, in piazza fra saluti romani e accuse di golpe e truffa ai danni degli italiani. Conte sceglie di collocarsi a difesa delle istituzioni e della democrazia, sposando in pieno la tesi che vuole la nascita del governo come un atto di responsabilità nei confronti degli italiani, per tutelarne i risparmi, la stabilità economica, ma anche per opporsi alle pulsioni di chi chiedeva “pieni poteri” e voleva rompere i legami con l’Europa e le altre potenze occidentali.

Questo approccio, in verità, stride non poco con la prima immagine che Conte aveva dato di sé in Parlamento: quella dell'avvocato del popolo, del garante del contratto di governo fra due forze "fieramente" populiste, con tanto di rivendicazione del concetto di sovranismo (e non a caso Paragone ha sottolineato come in pochi mesi le "parole guerriere" siano state sostituite dal "linguaggio mite", anticipando quella che sarà la linea di mezza opposizione). Ma è un approccio altrettanto problematico, soprattutto nel lungo periodo, se si considera quello che è il grosso punto interrogativo di questa alleanza di governo: l'esatto inquadramento della figura di Giuseppe Conte. Il Presidente del Consiglio nel suo intervento alla Camera (e ancora prima nell'intervento alla Versiliana) ha fatto capire di considerarsi come una figura super partes, quasi un "garante del programma politico". In questo modo però rischia di replicare lo stesso schema dei mesi precedenti, rinunciando a quel ruolo di guida e indirizzo politico che la Costituzione (non i partiti) assegnano al Presidente del Consiglio. Di fare il notaio o, nella migliore delle ipotesi, il mediatore. E di essere intrinsecamente debole.

Se Conte, oltre a metterci la faccia, i modi e i toni garbati, cominciasse a rivendicare il suo ruolo politico dovrebbe assumersi il rischio di portare il Movimento 5 Stelle sulle sue posizioni. I grillini dovrebbero mettere da parte le ambiguità sul loro collocamento politico-ideologico e sposare fino in fondo la causa che hanno scelto di sostenere in questi giorni, affrontando, si spera, un percorso di riflessione (ricostruzione) identitaria che appare ineludibile alla luce delle trasformazioni di questi ultimi anni. Niente doppio forno, populista e istituzionale, niente ambiguità nei rapporti col PD, niente minacce o ultimatum. Difficile? Forse, ma decisivo per il futuro dell'esperimento giallorosso. Se questa maggioranza avrà quel "supplemento d'anima" necessario per stabilire un legame duraturo con gli italiani non è dato saperlo. Certo è che la partita è tutta qui.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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