Giuseppe Antoci a Fanpage: “I fondi europei sono un affare anche per le mafie, serve controllo”
Giuseppe Antoci, dopo una vita – è stato per molti anni presidente del Parco dei Nebrodi – di lotta alle mafie e contrasto alla criminalità organizzata, ha deciso di candidarsi alle prossime elezioni europee con il Movimento Cinque Stelle. Il suo obiettivo, racconta in un'intervista con Fanpage.it, è portare questa battaglia a livello europeo, con la consapevolezza che il fenomeno mafioso non è solamente italiano e che i fondi europei siano ad oggi uno dei business più remunerativi per la criminalità organizzata.
Iniziamo commentando la sua candidatura alle europee con il Movimento Cinque Stelle. In passato è stato anche vicino al Partito Democratico, ma non si era mai candidato. Come mai ha deciso di farlo oggi e come mai con il M5s?
Non mi sono mai sentito pronto in questi anni, anche perché volevo evitare che si pensasse che io magari approfittassi delle vittorie che abbiamo ottenuto sul fronte della lotta alle mafie. È arrivato il momento giusto e occorreva farlo con le persone giuste, perché bisogna trasformare anche il dolore in amore: questo significa trasformare una vita complicata, di rinunce, con un sistema di sicurezza elevato – che può sembrare solo dolore se si ferma a questo – in qualcosa di positivo. In questi anni, girando per scuole e università, ho incontrato migliaia di studenti e questo ti dà il senso della squadra, perché la squadra Stato è molto più ampia rispetto a solo la magistratura, le forze dell'ordine e le istituzioni in generale. La squadra Stato è fatta di un mosaico composto anche da questi ragazzi. Il presidente Conte mi ha fatto capire c'è un momento in cui devi fare la scelta. Giuseppe Conte e il Movimento cinque Stelle in questi anni hanno dimostrato che questo tema che è stato un tema fondante nel Dna e nelle radici del partito.
Come presidente del Parco dei Nebrodi lei ha passato una vita a combattere le mafie, è anche scampato a un attentato. Lo diceva, vive una vita sotto protezione. E allora le chiedo, perché è importante portare questo tema, la lotta alla criminalità organizzata a livello europeo?
Veniamo da un mese di commemorazioni, in primis il 23 maggio (anniversario della strage di Capaci, ndr). In quell'elenco potevo esserci io con quattro valorosi uomini della Polizia di Stato, tra l'altro recentemente decorati con la Medaglia d'oro al valor civile, che dal 1851 è stata assegnata prioritariamente alla memoria: questa è una cosa bellissima, il fatto che questo Paese finalmente commemora anche i vivi. E allora bisogna dare senso a tutto questo con l'impegno in Europa.Bisogna far passare un messaggio: la criminalità organizzata e le infiltrazioni non sono un tema solo italiano, lo dice la stessa Europa quando parla di infiltrazioni in altri Paesi con atti ben concreti che ne dimostrano la esigenza di attenzione.
Le mafie sul piano europeo bloccano lo sviluppo: dobbiamo dare dignità alla lotta alle mafie globalizzata, perché le mafie non possono essere considerate solo nei territori italiani, abbiamo avuto esperienze in Germania, in Slovacchia, in Corsica. Noi pensiamo che ci vuole un rinnovato interesse, così come pensiamo che in un'Europa dove ci sono tante criminalità organizzate, la Commissione antimafia europea non possa essere una commissione istituita una volta sola. Riteniamo che debba essere una commissione permanente.
Lei ha detto che per le mafie i fondi europei sono un business più conveniente del narcotraffico. Ci spiega meglio?
La nostra esperienza dimostra questo. Abbiamo scoperchiato quella che è stata definita una delle fonti di finanziamento primarie delle mafie. Questi fondi rendevano più del 2mila per cento rispetto all'investimento che era poi, ad esempio, il singolo affitto all'interno del quale si verificava il metodo mafioso, cioè obbligare gli agricoltori perbene a cedere i terreni. Si è creato un business milionario nelle mani non solo di esponenti mafiosi territoriali, ma di capi mafia. Noi parliamo di una vicenda che ha finanziato Gaetano Riina, fratello di Totò, le famiglie Santapaola-Ercolano, in Calabria, i Pelle, i Pesce, i Gallico, i Mancuso. E poi, a che rischio? A rischio zero. Nel mercato della droga, tu devi commercializzare la sostanza la devi comprare, trasportare, vendere. Hai dei momenti pericolosi in cui, grazie a Dio, arrivano la magistratura e le forze dell'ordine, che a quel punto intervengono. Ma con i fondi europei no. Arrivavano flussi di bonifici bancari di fondi pubblici nei conti corrente, a volte neanche dei prestanomi.
Vorrei essere chiaro: tutto questo accadeva mentre noi eravamo all'aula bunker a commemorare i morti. In quei momenti i flussi di bonifici bancari raggiungevano le mani e le tasche di chi quelle stragi le ha armate. E allora davanti a tutto questo, come bisogna reagire? Attraverso i simboli e gli eroi? Simboli ed eroi questo Paese ne ha avuti abbastanza. Bisogna reagire attraverso la normalità di fare il proprio dovere.
Poi abbiamo il tema del Pnrr, che è un tema fondamentale per le infiltrazioni mafiose in Europa. Se commettiamo degli errori, facendo arrivare nelle tasche delle mafie e della criminalità europea i milioni e i miliardi di euro che stanno arrivando col Pnrr, faremo un danno che per recuperare ci vorranno trent'anni. Ci deve allarmare che per quanto riguarda istruttorie in Europa- e noi abbiamo visto l'indagine di Venezia, 600 milioni di euro di fondi del Pnrr alla criminalità organizzata – più dell'80% ha a che fare con truffe che avvengono in Italia. Allora noi due domande ce dobbiamo fare e penso che farci queste domande significhi anche attivare tutti i controlli necessari per evitare questo danno.
Il protocollo Antoci è legge in Italia, punta a farlo diventare tale in tutta Europa?
Il protocollo è considerato dai giuristi italiani una norma devastante per i patrimoni delle mafie ed è la stessa Commissione europea che, attraverso una nota a firma del commissario Philip Hogan, dice di sapere che ci sono delle emergenze sulle infiltrazioni mafiose, sui fondi europei per l'agricoltura. La Commissione dice anche che pur non potendo imporre una norma, invita a seguire le orme del Protocollo Antoci.
Negli ultimi mesi ci sono state molte inchieste che hanno coinvolto diverse parti politiche. Giuseppe Conte ha commentato dicendo “Sembra quasi di tornare a Tangentopoli”. Qual è il suo punto di vista?
Conte parla di un'asticella: c'è un'asticella sotto la quale noi non andiamo. C'è un'asticella sotto la quale il Paese non deve andare. Il tema è sempre la parola dignità. Quando arriva la magistratura e le forze dell'ordine c'è un pezzo di Paese che ha sbagliato, c'è un pezzo di politica che ha sbagliato. La classe dirigente e politica deve arrivare prima, indipendentemente dalle azioni giudiziarie e dalle condanne. Si sente dire che se uno non ha condanne allora può fare politica: io non la penso così, lo diceva anche Borsellino. E collego questa vicenda anche alla legge bavaglio sui giornalisti, sulle intercettazioni: se un giornalista fa un'inchiesta e trova delle intercettazioni telefoniche dove un politico o un aspirante politico, pur non commettendo un reato, parla con i mafiosi ed emergono tentativi di infiltrazione criminale, io – da cittadino – lo voglio sapere.
Perché poi dispongo di una matita nell'urna elettorale che voglio usare per non mandare nelle istituzioni persone che, pur non compiendo reati, non sono degne di rappresentare i cittadini e le istituzioni di questo Paese. E glielo dice una persona che per le istituzioni stava perdendo la vita.