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Omicidio Giulio Regeni

Giulio Regeni, la testimonianza della mamma al processo: “Ho visto la brutalità delle torture sul suo corpo”

Al processo per la morte di Giulio Regeni, in cui sono imputati quattro 007 egiziani, parla la madre del giovane ricercatore, Paola Deffendi: “Quando ho dovuto riconoscere il corpo di Giulio ho potuto vedere solo il suo viso: ho visto la brutalità, la bestialità, sul corpo di nostro figlio.
A cura di Annalisa Cangemi
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Paola Deffendi, la mamma di Giulio Regeni, il giovane torturato e ucciso in Egitto, ritrovato cadavere nel 2016 al Cairo, ja preso la parola davanti ai giudici della prima Corte d'Assise di Roma nell'ambito del processo a carico di quattro 007 del governo egiziano, il generale Tariq Sabir, e gli ufficiali Athar Kamal, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdel Sharif, accusati del sequestro e dell'uccisione del ricercatore friulano.

"Quando ho dovuto riconoscere il corpo di Giulio ho potuto vedere solo il suo viso: ho visto la brutalità, la bestialità, sul corpo di nostro figlio. Era coperto da un telo e chiesi di poter vedere almeno i piedi ma una suora mi disse ‘suo figlio è un martire'. Lì capii che era stato torturato".

"L'ultima volta lo abbiamo visto, tramite Skype, è stato il 24 gennaio 2016. Ci disse del 25 gennaio, di cosa significasse al Cairo quella data. Gli dissi ‘Mi raccomando stai a casa'. Lui ci spiegò di aver fatto la spesa per più giorni, ci rassicurò". La mamma di Regeni ha poi ha aggiunto che il 27 gennaio arrivò la notizia della scomparsa. "Mio marito mi ha chiamato con una voce mai sentita – ha detto -. A casa mi disse che Giulio era scomparso. Quando sentii la console chiesi perché non ci avessero avvisato prima".

Nei giorni precedenti la scomparsa "avevamo capito che in quei giorni era stanco, per la ricerca, l'alimentazione. Ma avevamo fiducia in lui, sapeva muoversi nei vari contesti. Lo vedevamo preso dalla preoccupazione dello studio", ha aggiunto la signora Deffendi. Quindi ha proseguito: "Il compleanno di Giulio è il 15 gennaio. Gli abbiamo mandato gli auguri. Parlammo e ci mandò una foto. C'era la sua amica Noura e la mamma. Dissi ‘finalmente è contento'. Non esprimeva al 100 per cento la felicità. L'avevo sentito rilassato", ha raccontato Paola Deffendi.

"Mamma dall'altra parte cosa c'era all'epoca dei cavalieri? Era la domanda che già mio figlio mi poneva da bambino. La passione per il mondo arabo, nacque in Giulio dopo un viaggio che facemmo ad Istanbul. Lui amava le fiabe, non era un giovane a cui piaceva apparire, era sobrio anche nell'abbigliamento", ha detto ancora nell'aula bunker di Rebibbia dove è in corso la sua testimonianza nell'udienza del processo.

La mamma di Giulio, ha poi aggiunto: "Ci teneva ad esprimere un certo modo di vivere, ispirato sempre alla sobrietà. L'incrocio tra la passione e lavoro si verificò quando vinse la borsa di studio ed a 17 anni e mezzo è andato a finire le scuole superiori nel New Messico, negli Stati Uniti". La madre, ricordando l'inizio degli studi di Giulio, ha spiegato: "Successivamente andò a studiare in Inghilterra, e per Giulio cominciò il desiderio di costruirsi un curriculum utile a trovare una professione che lo motivasse. Ma nonostante studiasse all'estero manteneva comunque i rapporti con gli amici di Trieste e Fiumicello. Abbiamo capito dopo quante persone aveva aiutato e si era impegnato per farlo. Con le ragazze aveva successo, rispettava il mondo femminile, una volta una insegnante delle scuole medie, quella di teatro, mi telefonò per complimentarsi perché Giulio aveva spiegato di quanto fosse importante che anche le donne fossero integrate nel mondo del lavoro".

In una precedente udienza, un ex detenuto palestinese ha raccontato di aver visto il giovane ricercatore prima e dopo un interrogatorio in carcere, il 29 gennaio 2016: "Giulio era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati. Era a circa 5 metri da me. Indossava una maglietta bianca, un pantalone largo blu scuro".

In seguito, ha detto il testimone, "l'ho rivisto che usciva dall'interrogatorio, sfinito dalla tortura. Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla verso le celle".

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