"A parte le guerre puniche, mi attribuiscono di tutto". Nella ridda di voci, nell'insieme dei coccodrilli, degli omaggi, dei ritratti e delle analisi legate alla morte di Giulio Andreotti è questo il carattere che maggiormente ci ha colpito. Il senatore a vita ha finito con il riassumere in se tutti i caratteri della storia recente del Belpaese, finendo quasi con il diventarne il simbolo, la storia. Già, Andreotti è la storia del nostro Paese dal dopoguerra ad oggi. Andreotti, Il Divo Giulio, Zio Giulio, Belzebù, il Papa Nero, Molok, la Volpe, l'Indecifrabile, il Manovratore, l'Immortale.
L'uomo che è scivolato tra le pieghe della storia del nostro Paese, lasciando sempre una sorta di impronta invisibile. Un tocco inconfondibile e mai perfettamente decifrabile. C'era Andreotti nei primi passi verso la stabilizzazione e la pacificazione del Paese dopo la Seconda Guerra Mondiale. C'era Andreotti quando la lunga mano atlantica blindava la contrapposizione politica nei primi anni cinquanta. C'era Andreotti quando il miracolo economico riportava il Paese tra le nazioni occidentali, nascondendo sotto al tappeto contraddizioni e corruzione, disuguaglianza e ingiustizia. C'era Andreotti negli anni d'oro della costruzione della nazione, tra la morale della medietà e l'accesso tumultuoso ai consumi di massa. C'era Andreotti quando la "rivoluzione" sembrava poter travolgere anche il nostro Paese e c'era ancora quando chi aveva sognato di cambiare il mondo si accontentò di "aver cambiato se stesso". C'era Andreotti quando l'ombra si impadronì (definitivamente?) dello Stato, inquinando per sempre ideologie, sogni e speranze di tanti italiani. C'era Andreotti quando dietro la crescita impetuosa dell'economia si nascondevano affaristi e criminali. C'era Andreotti quando lo Stato voltava lo sguardo altrove, mentre la criminalità si impadroniva del Paese e gli italiani erano rapiti dalla grande bolla capitalista. C'era Andreotti quando la bolla scoppiò ed il sogno svanì. C'era Andreotti quando i giudici scoperchiarono il vaso e c'era Andreotti quando lo richiusero. C'era Andreotti quando gli italiani si imbarcarono in una nuova avventura, in una nuova illusione. E c'era Andreotti quando la bolla scoppiò nuovamente e gli italiani riconobbero una Patria con gli stessi difetti, le stesse lacune, le solite mancanze.
C'era e non poteva essere altrimenti, perché il Divo Giulio rappresenta ciò che il Paese è sempre stato e ciò che non è mai riuscito ad essere. Qualcuno di cui non abbiamo mai potuto fare a meno e di cui non siamo mai riusciti a fidarci abbastanza. Il burattinaio che tutti vedevano. Il mazziere che smazzava e che tutti credevano imbrogliasse, ma che nessuno riusciva a mettere con le spalle al muro. In un gioco al quale nessuno riusciva a sottrarsi.
È stato sempre così. È ancora così. "Con Andreotti non vado d'accordo su nulla, ma mi piace perché ha capito tutto", ebbe modo di dire Fortebraccio, al secolo Mario Melloni, fotografando impietosamente l'atteggiamento di tanti italiani nei suoi confronti. Un misto tra timore reverenziale e sospetto, tra odio e consapevolezza di quanto Giulio fosse "necessario" al paese. La facciata rispettabile di una nazione costruita tra trame, segreti, mezze verità, illeciti, sopraffazioni, inganni. Il nemico pubblico odiato e rispettato allo stesso tempo. Quello che se ne è andato portandosi dietro mille segreti, forse. Quello che avrebbe potuto rispondere a tutte le domande, forse. Quello a conoscenza di ogni nefandezza della storia repubblicana, forse. Quello che nessuno è mai riuscito a distruggere. E, del resto, nessuno può distruggere la sua ombra.