Se muori a 18 anni durante uno stage schiacciato da una lastra di metallo la tua famiglia non ha diritto ad alcun risarcimento. E sapete il motivo? Perché eri uno stagista, né carne né pesce, uno strano essere a metà strada fra il lavoratore e lo studente, un signor nessuno, invisibile per l'Inail, per le tasche dell'azienda, dello Stato, della scuola, di tutti.
A essere precisi l'Inail dice che "non hanno potuto, l'indennizzo è legato al reddito della famiglia e la famiglia non rientrava nella fascia di reddito prevista", in altre parole confermando che si può morire a 18 anni – durante uno stage di lavoro svolto in ambito scolastico – e non essere risarciti perché il reddito della tua famiglia è troppo elevato. Vorrei conoscerli, i minimi dell'Inail, superati da una famiglia con un ragazzo che studia per diventare operaio in fabbrica. Una famiglia ricchissima, senza dubbio, come no.
Dall'Inail confermano poi che sia l'azienda che la scuola avevano un'assicurazione, ma confermano anche che fino a questo momento nessuno ha risarcito la famiglia neanche con un euro, perché "sono cose lunghe". Però Giuliano De Seta è morto subito. Ma forse non basta morire perché un'assicurazione paghi, forse sarebbe dovuto morire due volte, o tre. Forse essere schiacciati da una lastra di metallo non è sufficiente, sarebbe prima dovuto cadere da una gru, poi sprofondare in un pozzo, poi esplodere in una cava e solo successivamente essere schiacciato da una lastra di metallo. Lo chiedo direttamente all'Inail: è così che funzionano i risarcimenti alle famiglie per i morti sul lavoro – pardon – durante uno stage scolastico in fabbrica?
Sentite anche voi l'eco delle voci al rifiuto dell'indennizzo? Io le sento come una brezza fra i banchi del legislatore:
"Ah, il signor Giuliano De Seta purtroppo era uno stagista, ci dispiace tanto, che sfiga, nessuno l'ha visto quel giorno. Ah, ma quanto è importante la scuola lavoro, però, me lo lasci dire".
Giuliano De Seta: invisibile, dimenticabile come lo sono le fatalità e i fulmini, senza neanche il diritto al rimborso.
Rimborsano qualsiasi oggetto, nella società della produzione veloce, ma non le persone. La famiglia di Giuliano De Seta, morto a 18 anni durante uno stage, non riceverà neanche un euro.
Giuliano De Seta l'invisibile. Così tanto da essere stato presumibilmente abbandonato alla sua postazione anche durante il suo lavoro.
Non visto, coperto dal mantello del "chi se ne importa", la sua presenza è diventata fumo.
Giuliano, solo, con una lastra di metallo sopra la testa, la sola a fargli compagnia fino alla fine.
Ammazzato dall'abbandono, dal favore che si fa alle aziende mandando loro manodopera gratuita.
Sia chiaro: non sono le aziende ad aprirsi volenterose ai bravi studenti, sono le scuole che scaricano i costi della formazione verso le aziende, che in cambio ricevono manodopera gratuita.
È perverso l'intreccio, lo scopo, il finale di questa storia.
Mettetevi d'accordo, in ogni caso. Perché non può essere lavoro soltanto quando c'è da faticare, e poi quando si muore schiacciati da quello stesso lavoro allora diventa studio, anzi stage, una scusa come un'altra perché alla fine nessuno sia costretto a pagare.
Di chi è stata la colpa della morte di Giuliano De Seta? Sembra di sentirli: "Il caso, la fatalità, l'inevitabilità".
Paga Pantalone, insomma. Cioè non paga nessuno, però tutti scrivono "tragedia".
Sì, ma i soldi?
"Chiedeteli all'ineluttabilità, i danni"
"Sentite se può pagarvi l'inesorabilità"
"Chiedete un risarcimento alla predestinazione"
È ingiusto che il tempo della formazione del pensiero – cioè il tempo della scuola – venga occupato dal lavoro.
È ingiusto morire perché una lastra di metallo schiaccia il tuo corpo di diciottenne, durante uno stage non pagato durante il tempo in cui dovresti formarti sui libri.
È ingiusto morire per una serie – presumibile – di norme sulla sicurezza non rispettate.
È ingiusto che la tua famiglia non riceva alcun risarcimento perché come dice l'Inail: "Il ragazzo è morto durante uno stage, non durante il lavoro".
Ma è ingiusto anche stare zitti di fronte agli eventi. Dobbiamo urlare, alzare il dito, sollevare la gonna all'Inps e dirlo chiaramente: "E' nuda".
I banchi di scuola possono formare al pensiero, ma non se vengono sostituiti da una cinghia di trasmissione.
È dall'inizio del pezzo che cerco le parole per rivolgermi ai genitori di Giuliano De Seta e non le trovo, ci giro intorno. Vorrei dire loro che non è stata una morte inutile, e invece sì. Era evitabile, superflua, senza senso. Non c'è nessun motivo per cui si possa morire a 18 anni durante uno stage in azienda e la famiglia non riceva neanche un indennizzo economico che – ovviamente – non ripagherebbe dalla perdita del figlio, ma permetterebbe di non essere assillati per qualche mese dalla necessità di tornare a lavorare, ancora lavorare, l'ossessione necessaria di questi tempi imperfetti.