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“Giovanni Falcone era un eroe odiato e solo”: con Roberto Saviano a Roma, la città che lo abbandonò

Giovanni Falcone è stato l’uomo più odiato d’Italia, non dal popolo ma dai poteri: quello politico e poi mafioso. Il primo l’ha isolato e il secondo l’ha ucciso.
A cura di Saverio Tommasi
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Ho incontrato Roberto Saviano a Roma, in un posto che non si può dire. Quando l'auto di scorta si è fermata lui non è sceso, mi ha aspettato dentro perché avevamo fissato così; in piedi sul marciapiede ho aspettato un cenno della scorta prima di avvicinarmi all'auto, inciampando poi nel mio stesso zaino e complicando un po' l'operazione dell'entrata in macchina, avevo già la telecamera in mano e poi quando incontro Roberto Saviano mi emoziono, sono fatto così e per questo sono inciampato.

Roberto Saviano arrivava da Napoli, e da lì – e non poteva essere che da lì – abbiamo iniziato a parlare.

Napoli è sempre una "botta"?

Sono tornato ai quartieri spagnoli dove vivevo, a sant'Anna di Palazzo, ci mancavo da 16 anni, tantissima nostalgia.
Sai che sempre scorro sul telefono gli appartamenti in affitto? Cerco sempre quello dove mi piacerebbe tornare a vivere, e penso: "Ora lo prendo". Poi però non lo faccio mai.

Sei serio?

Sì, anche poco prima che arrivassi tu, mi sono detto: "Dove andrei? Vediamo un po'".
Come se non fossi mai a casa in nessun luogo. Perché quando da qualche territorio ti strappano, è come se ti annodassero in una maniera più forte, più profonda.

A proposito di case e di strappi, mi viene in mente una frase che ho letto nel tuo libro su Giovanni Falcone "Solo è il coraggio".
Falcone a un certo punto dice "a Roma mi sento a casa più che a Palermo dove mi hanno buttato fuori casa"

Assolutamente così. Giovanni Falcone da Palermo si sente cacciato, mentre a Roma trova una sua dimensione, innanzitutto di libertà, perché può muoversi con un po' più di agilità, a volte addirittura lui e la moglie riescono a farsi delle passeggiate, che era impossibile in Sicilia.
E poi Giovanni Falcone a Roma trova un sogno, che io oserei definire "ingenuo". Cioè pensa di poter dare qui un significato profondo a tutti gli anni di lotta a Cosa Nostra in Sicilia, e un significato anche a tutti i caduti che c'erano stati.
Qui a Roma lui pensa davvero di potercela fare a sconfiggere Cosa Nostra.
Io lo definiscono "un sogno ingenuo" perché non glielo permisero in nessuna forma. Ma questa parola "ingenuità" dimostra proprio l'assoluta purezza degli intenti. L'intento era di trasformare questo Paese, battendo il cancro mafioso.

Giovanni Falcone a Roma
Giovanni Falcone a Roma

Partiamo da Palazzo Marescialli, a Roma. Qual è il rapporto di Falcone con questo luogo?

Qui accadono probabilmente le cose peggiori a Giovanni Falcone. Viene innanzitutto bocciato come capo dell'ufficio Istruzione di Palermo.
Poi si candida a membro del CSM, e verrà bocciato. E poi ancora altre due bocciature accadranno qui, a Palazzo Marescialli.

Non sta bene dirlo e tantomeno sorriderci, ma lo faccio per un aspetto di simpatia: Giovanni Falcone, proprio lui, il genio del diritto, bocciato. Lo umanizza moltissimo questa visione.

Il fango che lo circondava, le mezze voci, portavano Falcone a un isolamento vero. Lo chiamavano "Falcon Crest", "il volto abbronzato dell'antimafia", "Batman", "guitto televisivo", accuse che comparvero sui maggiori giornali. L'invidia portò le persone a isolarlo. Questa è anche la più amara risposta a chi diceva che faceva tutto per carriera. Quale carriera? Non c'è mai stata.
E Roma è proprio il punto di passaggio fondamentale nella vita di Giovanni Falcone, perché da un lato è la rinascita, poter trovare un posto dove vivere, dall'altro lato invece anche qui gli mettono i bastoni tra le ruote e lo sgambettano.

Se qualcuno dice "Falcone era un eroe", è esatto?

Non si sbaglia a dirlo, perché noi consideriamo eroi quelle figure che in nome delle loro scelte sono diventati simboli. Il rischio è non vedere tutto il percorso che lo ha portato a quelle scelte coraggiose. Ed è stato un percorso umanissimo, Falcone non era votato al sacrificio, o alla rinuncia, anche se poi si è sacrificato e ha rinunciato moltissimo. Giovanni Falcone era un uomo pieno di vita, amava il mare, voleva fare il marinaio, ma poi si iscrisse a Legge.

Ripeto il nome della città in cui siamo – Roma – cosa ti viene in mente?

Roma è la città dove la Cassazione confermerà le condanne del Maxiprocesso, il primo grande processo contro la mafia.
Cosa Nostra era certa che sarebbe saltato tutto, perché aveva i contatti con la politica. Invece i politici alleati alla mafia non riuscirono a far saltare il Maxiprocesso, e Cosa Nostra li uccise. E poi uccise Falcone e Borsellino, cioè uccise gli uomini che erano stati gli artefici del Maxiprocesso.

Una parola che leggo anche dove non è scritta è "solitudine"

La solitudine avviene nel momento in cui non sei compreso, lì è la solitudine, quando senti di essere frainteso. Ma c'è anche un'altra solitudine: quella del sentirsi su un fronte dove cadono le persone a cui vuoi bene. Dolore infinito.

Mi racconti meglio il primo tipo di solitudine di Giovanni Falcone?

Qualunque cosa poteva essere usata contro quello che stava facendo. Persino il "non sposarsi" viene visto come qualcosa che può mettere a rischio le sue indagini perché possono dire che non è credibile.
Anche per questo Giovanni Falcone e Francesca Morvillo decidono di sposarsi, per proteggersi e soprattutto per proteggere il loro lavoro.

Cos'era la "Super Cosa"?

Quando Falcone tenta la costruzione della super Procura, Riina costruisce la super Cosa Nostra, la chiamano davvero così: la Super Cosa. E mandano una serie di killer su Roma, con l'obiettivo di colpire figure pubbliche e mandare chiaro il segnale: "Senza la nostra autorizzazione la vita in questo Paese non può esistere".
La riunione per decidere chi colpire avviene a Fontana di Trevi, a Roma. Fra i killer mandati nella Capitale c'era anche – per capirsi – Matteo Messina Denaro.

Qual è il valore del raccontare, oggi, queste storie?

Sono l'origine delle storie. Se oggi a Singapore o in Perù qualcuno decide di affrontare il tema della criminalità organizzata del proprio Paese, passa attraverso il metodo di investigazione e di inchiesta del pool antimafia di Palermo.
Rifletti anche su questo: oggi – post Covid – l'attenzione sul tema criminale è scomparsa, completamente scomparsa, non esiste proprio più, come se fosse un problema tornato nelle periferie, depotenziato. Invece non è così: il Covid ha indebolito le aziende, le imprese, i negozi, e sono arrivati ovunque i capitali mafiosi, in "soccorso". Un soccorso tossico, avvelenato. Entrano apparentemente dandoti energia e poi ti svuotano l'azienda, te la mangiano, te la prendono, te la conquistano illegalmente nel silenzio più assoluto. L'usura ha sostituito i fidi bancari che le banche non danno più. Ecco perché tornare all'origine delle storie è importante.

Sulle mancate attenzioni mediatiche fu Giovanni Falcone a dire – in modo sarcastico – "ci vorrebbero due morti eccellenti l'anno"

E' vero, disse così. Era evidentemente una provocazione, e fu proprio Capaci che cambiò questo paradigma, con una reazione completamente inaspettata da parte delle persone, e degli altri Paesi, che chiedevano risposte all'Italia.

Roberto, dov'è l'amore nella storia di Giovanni Falcone?

La risposta più facile – comunque vera – è questa: nell'amore tra Francesca Morvillo e Giovanni Falcone.
Francesca Morvillo, prima di morire, la sua ultima frase fu: "Dov'è Giovanni?"
Il loro è un amore che non manipola ma presidia. Francesca Morvillo poteva spingere per sottrarlo da quella lotta, da quell'impegno così pericoloso, per salvargli la vita. Ma in quel caso non sarebbe stato amore, che è cura anche delle scelte degli altri, dell'altro, di colui che ami.
La verità è che però tutta la storia di Giovanni Falcone è una storia d'amore: dare senso a qualcosa che ti stanca, ti segna, ti consuma. E invece rinnova. E' l'amore per la propria terra. L'amore, la passione, quella cosa che ti fa svegliare, che ti dà senso, che ti fa sentire vivo e dare sapore alle cose. L'idea di potersi immaginare un mondo senza il crimine, questo era un atto d'amore.

Ti stimolo sul personale. Quanto Roberto Saviano c'è in Giovanni Falcone? Te lo chiedo perché io lo ritrovo moltissimo, quasi in ogni azione.
Il rapporto con il cibo, l'ingrassare un po', i picchi d'umore – la voglia di esserci e quella di mollare – o anche il semplice smettere di frequentare una palestra pubblica perché avrebbe voluto dire tenere con sé la scorta, e la scorta appesantisce l'aria dentro una palestra.

Sono riuscito a trovare momenti nella vita di Falcone che io ho utilizzato a modello per superare i miei momenti più difficili, me lo sono scelto maestro.
Non so come abbia fatto Giovanni Falcone, ed è questa la domanda che gli avrei voluto porre: come facevi? Dove trovavi la forza?
E poi: è davvero necessario che io continui? O forse è più giusto, più sano, mollare?
Chissà qual è la risposta.

Grazie Roberto.

Grazie Saverio.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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