E così Stefano Cucchi non è morto di epilessia, e i lividi non se li è fatti cadendo dalle scale perché era un ragazzo distratto.
Stefano Cucchi è stato ammazzato di botte, omicidio preterintenzionale, così dice la sentenza di primo grado che ha condannato i due carabinieri Di Bernardo e D'Alessandro a dodici anni di reclusione.
Ora sarebbe il momento che qualcuno chiedesse scusa alla famiglia Cucchi. Scusa per avere insultato, denigrato, minimizzato, banalizzato, sviato, volgarizzato, diffamato, calunniato, offeso, disonorato, diffamato, screditato, ingiuriato, oltraggiato, violato, nuociuto, vilipeso e ucciso più volte con le loro parole, Stefano Cucchi.
Sarebbe l'ora che Carlo Giovanardi si prostrasse, in privato e non in pubblico come un fariseo, ai piedi di Ilaria Cucchi, e chiedesse perdono.
Sarebbe l'ora che Matteo Salvini si genuflettesse pentito ai piedi della madre di Stefano Cucchi, non in diretta Facebook come piace a lui, e provasse ad essere umano per una volta, chiedendo perdono per tutti i suoi peccati politici. Sarebbe l'ora che tutta quella politica, ed è stata tantissima in questi anni, che ha "ammazzato di botte fatte di parole", la memoria di Stefano Cucchi, riflettesse sul proprio agire, si denudasse dall'ipocrisia, salisse sul campanile e piangendo urlasse l'unica parola dicibile: "Scusate. Siamo stati un ammasso di pensieri pervertiti, a cui abbiamo dato sfogo nel modo peggiore: insultando chi andava protetto. Ingiuriando la vittima di una storia oltraggiosa. Vi chiediamo scusa anche se non meritiamo di essere scusati".
Questo dovrebbero dire i rappresentanti di una politica marcia che, invece, non proferirà parole, c'è da giurarci. Abbracceranno la menzogna anche di fronte a una sentenza, e useranno giri di parole per non pronunciare l'unica frase che dovrebbero dire: "scusateci, per essere stati la manovalanza colpevole nella narrazione dei violentatori".