Come vi abbiamo raccontato, qualche mese fa la Camera dei deputati ha approvato una proposta di legge delega per la riforma del finanziamento pubblico all’editoria, presentata dal Partito Democratico, che aveva peraltro qualche punto in comune con una proposta più “radicale” del Movimento 5 Stelle. Vale la pena di ribadire che, al momento (e nelle more dell’approvazione della nuova legge), vige una disciplina transitoria, introdotta col il Dl 63/2012, che ha rideterminato i requisiti di accesso e i criteri di calcolo, introducendo alcuni cambiamenti per quel che riguarda il sistema di distribuzione e vendita e ampliando il sostegno all’editoria digitale e ai piccoli periodici web.
Al momento, dunque, il finanziamento pubblico è garantito a:
- quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti;
- quotidiani editi da imprese editrici la cui maggioranza del capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro;
- quotidiani editi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige;
- quotidiani e periodici organi di movimenti politici editi da società trasformatesi in cooperativa entro il 1° dicembre 2001
Proprio su quest’ultimo “blocco” si concentra l’attenzione di OpenPolis, che ha stilato un report aggiornato dei costi per le casse dello Stato di giornali e radio “di partito”. I dati sono relativi al 2014, con un conteggio che include anche giornali che hanno cessato le pubblicazioni:
Quattro i beneficiari: prima in classifica l’Unità, che ha preso quasi 1,9 milioni di euro. Il quotidiano fondato da Antonio Gramsci è anche quello che ha incassato più fondi pubblici nel decennio precedente, tra 2003 e 2013, per un totale di oltre 60 milioni di euro. Al secondo posto il giornale della Lega nord, la Padania, con 1,2 milioni di contributi pubblici nel 2014. Europa, quotidiano oggi chiuso, vicino al Partito democratico e in precedenza alla Margherita, prendeva più di 600mila euro. Poco meno di mezzo milione di euro per ilSecolo d’Italia.
Di queste testate, 3 su 4 risultavano in liquidazione al momento del pagamento del contributo, a eccezione del Secolo d’Italia.
E graficamente:
Vale la pena di aggiungere che la norma transitoria stabilisce che “ogni impresa che rispetti i requisiti può ricevere fino ad un massimo di una quota del 50% dei costi sostenuti, ottenendo sussidi in relazione alle copie vendute, non a quelle distribuite (fanno eccezione i periodici senza scopo di lucro)”, mentre le imprese radiofoniche ottengono un rimborso del 40% della media dei costi sostenuti.
Qui, invece, è possibile consultare nel dettaglio i contributi erogati alle altre imprese editrici “coperte” dal finanziamento pubblico.