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Opinioni

Giorgio Napolitano, l’uomo che è stato lo Stato

Napolitano lascerà il Quirinale dopo quasi 9 anni, spesi al servizio dello Stato e delle istituzioni. Un uomo che, al di là di tutto, non merita l’umiliazione di giudizi affrettati, sommari ed ingenerosi. E a cui dobbiamo il rispetto e, come minimo, il “beneficio della complessità”.
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"Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione – fino allo smarrimento dell’idea stessa di convivenza civile – come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti". Nell'opinione di chi scrive, è questo passaggio del suo lungo intervento alla Camera dei deputati nel giorno della rielezione al Quirinale a rivelare molto del modo in cui Giorgio Napolitano ha inteso il suo impegno politico, che poi è finito col diventare la missione di una vita.

La politica intesa come servizio alle istituzioni, allo Stato come "sostanza etica" che trascende ogni valutazione di ordine soggettivo: un'entità da proteggere con l'impegno costante e l'esempio quotidiano, ma solo perché in qualche modo "precondizione" delle libertà individuali e della stabilità della società italiana. La solidità delle istituzioni, la stabilità dello Stato, la tutela degli equilibri interni, sono insomma obiettivi per i quali vale la pena di sacrificare intransigenza e ideologie, velleità personali e interessi di bottega. Preservare lo Stato, la sua integrità e forza, anche (qualcuno direbbe soprattutto) attraverso la mediazione, il compromesso, l'incontro a mezza strada: è in questa direzione che si è mosso Napolitano, è questa la sua testimonianza ultima e significativa. È la politica in una accezione utilitaristica che diventa "nobile" solo perché il fine ultimo lo è; è il costante lavoro del tessitore che acquista senso solo se l'opera si osserva da lontano; è la discesa in campo come "dovere morale" e non come scelta utilitaristica; è l'ambizione personale che si fonde col concetto di "servizio".

Napolitano è l'uomo che incarna tutto questo, è un simbolo della r-esistenza dello Stato, che garantisce "continuità alla storia" e che non cede di fronte agli eventi e alle contingenze. Solo in questa cornice può esserci una valutazione di senso e di merito delle sue scelte, decisioni, errori e compromessi. E questo, il contesto (che poi coincide col fine), è la condizione minima per provare ad esercitare un giudizio critico sull'operato del Capo dello Stato, nel primo settennato ed oltre. Operazione che, sia detto senza polemica (e, appunto, senza alcun pregiudizio critico in un senso o nell'altro), ha una complessità elevata e non ha nulla a che vedere col ridicolo manicheismo con il quale anche autorevoli commentatori liquidano "Re Giorgio".

E, il beneficio della complessità, senza pretendere di ascrivere Napolitano al girone dei buoni, dei cattivi, dei dannati, dei registi occulti, dovrebbe essere il minimo.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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