
Chi si attendeva i fuochi d'artificio dalla due giorni di dibattito parlamentare sulle comunicazioni della presidente del Consiglio in vista del fondamentale vertice europeo di giovedì e venerdì, probabilmente sarà rimasto deluso. La risoluzione della maggioranza, approvata senza particolari ansie al Senato ieri e alla Camera oggi, è il frutto di una lunga mediazione tra le posizioni dei diversi partiti, dunque risulta così annacquata e al tempo stesso pretenziosa, da risultare ininfluente. E, a parte qualche uscita pittoresca di Matteo Salvini proprio in concomitanza con l'intervento della presidente del Consiglio, il governo ha dato prova di compattezza. Ma il dibattito è stato decisamente interessante, con le divisioni nella maggioranza nascoste con grande difficoltà e leader dell’opposizione costretti a vere e proprie capriole linguistiche per evitare polemiche interne e mal di pancia nell’elettorato.
Soprattutto, diciamoci la verità, una Giorgia Meloni così non ce l’aspettavamo. Vedete, la presidente del Consiglio, le pochissime volte in cui si ricorda di andare in Parlamento o le rarissime volte in cui accetta le domande dei giornalisti, ha una modalità argomentativa piuttosto consolidata, che si dipana su tre assi principali: il vittimismo, la deresponsabilizzazione e il ribaltamento della prospettiva. Si mostra sempre sotto attacco, trova sempre giustificazioni esterne a errori o contraddizioni, attacca sempre oppositori di qualunque tipo, come se non fosse lei ad avere in mano lo scettro del potere. Una tecnica che funziona, anche perché manda completamente fuori giri le opposizioni e i critici, che spesso accettano di seguirla nel campo delimitato dalla sua narrazione.
Questa volta, forse consapevole di essere in presenza di un vero tipping point della storia europea, le cose sono andate diversamente. Dopo i suoi interventi, abbiamo un'idea molto più chiara di cosa voglia fare Meloni nei prossimi mesi. Non sui punti specifici del Consiglio Europeo o sul ReArm Europe, ovviamente: lì Meloni è stata generica e vaga, anche giustamente considerando la natura del vertice e l’assenza di dettagli fondamentali nel piano della Commissione Europea. Meloni ha invece fatto capire perfettamente qual è la sua collocazione ideologico-strategica e quale la linea che seguirà in politica estera.
Quella di Donald Trump e della nuova amministrazione americana, in purezza.
A cominciare dalla questione dazi, che teoricamente non sarebbe all’ordine del giorno del Consiglio Europeo, come pure ha ricordato Meloni nel suo intervento. Ciononostante, la presidente del Consiglio ha ritenuto opportuno far sapere che lei considera sbagliata la decisione dell’Europa di mettere dei contro-dazi sui prodotti americani. Ha usato un termine specifico per descrivere la scelta della Ue: “rappresaglie”. Vi cito l’intero passaggio, perché merita: “Personalmente sono convinta che si debba continuare a lavorare con concretezza e con pragmatismo per trovare un possibile terreno d'intesa e scongiurare una guerra commerciale che non avvantaggerebbe nessuno, né gli Stati Uniti né l'Europa. E credo non sia saggio cadere nella tentazione delle rappresaglie, che diventano un circolo vizioso nel quale tutti perdono. […] Non sono certa, insomma, che sia necessariamente un buon affare rispondere ai dazi con altri dazi”. Ma, ecco, i dazi li ha messi Trump. Non è un’iniziativa dell’Ue e questa versione del “porgi l’altra guancia” di fronte a chi ti schiaffeggia non so quanto possa essere adeguata al contesto. Certo, sul piano della teoria economica è una ricetta caldeggiata dagli ultraliberisti, piuttosto preoccupati da un'eventuale guerra commerciale. Ma, concedetecelo, è singolare che venga utilizzata come arma retorica per polemizzare contro l’Ue, mentre sta cercando di tutelare anche la produzione italiana, usando una specie di modello "deterrenza" per fare pressione sugli americani.
Sull’Ucraina, probabilmente già saprete. Meloni è contro l’iniziativa di Macron e Starmer, si è dichiarata indisponibile a considerare il coinvolgimento diretto dei soldati italiani, ha espresso perplessità sul ruolo attivo dell’Ue nella risoluzione della crisi e ha manifestato una totale e cieca fiducia nell’iniziativa della Casa Bianca per un cessate il fuoco in Ucraina e per l’avvio dei negoziati con Putin. Sul piano di riarmo, anche se è rimasta sul vago, ha rilanciato la proposta di Giorgetti e si è detta perplessa sul debito comune (poche ore dopo l'intervento "europeista" di Draghi sul tema, nello stesso posto). Alla Camera dei deputati, poi Meloni ha fatto di più: ha dileggiato apertamente il Manifesto di Ventotene, scritto da tre antifascisti perseguitati dal regime e mandati al confino, già considerato uno dei testi più importanti dell'europeismo. Lo ha fatto decontestualizzando la parte sulla proprietà privata e agitando lo spettro del comunismo. Sembrava di leggere un tweet di Elon Musk, per il grado di approssimazione e il livello di strumentalizzazione politico.
Probabilmente neanche il presidente USA sperava di poter ottenere tanto dall’amica e alleata italiana. Non c’è una singola mossa della nostra presidente del Consiglio che non si sposi perfettamente con la linea della nuova amministrazione americana o che non sia funzionale ai piani nel medio e lungo periodo di Donald Trump. Ed è questo l’aspetto da tenere in maggiore considerazione, a parere di chi scrive.
Il progetto di Donald Trump è particolarmente ambizioso e comporta un cambiamento globale, culturale, politico e ideologico. È un mondo nuovo, quello caldeggiato dall’ultradestra MAGA e idealizzato dai tecnocapitalisti della sorveglianza che affollano la corte del Tycoon newyorchese (e in molti ambiti ne determinano le azioni). All’orizzonte, uno scenario globale egemonizzato da autocrazie cesariste, che facilitano, agevolano o comunque non ostacolano, l’operato dei grandi potentati economici che aderiscono più o meno genuinamente al nuovo modello di società (e che contribuiscono a determinarlo). In questo contesto, che è molto più vicino e concreto di quanto pensiate, uno dei principali ostacoli è l’Europa, sia come modello di società che come entità politica. Attenzione, non solo quello che l'Europa potrebbe essere e diventare, ma quello che l'Europa è già (con tutti i suoi limiti, la sua ipocrisia e la sua subalternità ad altri attori, non lo neghiamo affatto).
È un tema complesso, che ci ripromettiamo di affrontare nel dettaglio, al momento è importante sottolineare come la disgregazione dell’Europa, intesa come entità politica coesa e attore forte sulla scena internazionale, sia uno degli obiettivi più chiari del trumpismo, anche per il tramite del braccio armato Elon Musk. Va in questo senso il sostegno più o meno esplicito ai movimenti sovranisti ed euroscettici nel Vecchio Continente, va in questo senso la lotta “concettuale” alla burocrazia europea (che, con tutti i suoi errori, è un argine importante alle ambizioni dei vari Musk, Bezos e via discorrendo), va in questo senso la crociata contro una serie di modelli di welfare e di sostegno pubblico, va in questo senso l’impostazione oltranzista sull’immigrazione, va in questo senso la cancellazione di accordi e patti multilaterali. Potremmo continuare a lungo, come detto.
Ma è chiaro il punto, credo. In questo contesto, Giorgia Meloni rappresenta il maggiore asset in Europa nelle mani di Donald Trump. È un agente disgregatore pienamente legittimato a portare a termine il proprio compito. Gode di una lampante investitura popolare nel suo Paese e, al contrario della leader di Afd, ha un'immagine spendibile e convincente sul piano internazionale. Ha un curriculum importante, a differenza di altri interlocutori per i progetti MAGA e MEGA, oltre che una certa coerenza tra la sua piattaforma ideologico-programmatica e le azioni politiche intraprese. Può giocarsi la carta dell'interesse nazionale (qualunque cosa significhi), proprio in ragione dell'indifendibilità di tante scelte della leadership europea degli ultimi anni. Con ECR può essere di governo e di opposizione, a seconda del momento, e può orientare le stesse politiche della maggioranza guidata da Von der Leyen.
The Donald ha fatto Bingo, insomma.
