Gimbe: “È crollato il sistema di tracciamento. Serve una strategia a lungo termine”
Continuano ad aumentare i casi di coronavirus nel nostro Paese e gli ospedali danno alcuni segni di sovraccarico. Le terapie intensive rischiano di arrivare alla saturazione, se non si inverte la rotta dei contagi. Il bacino degli attualmente positivi ha superato quota 418mila casi, ma il governo "continua a inseguire i numeri del contagio con Dpcm settimanali tra i malumori delle Regioni per l'assegnazione del livello di rischio". Questo l'avvertimento della fondazione Gimbe, un think tank che si occupa di ricerca in ambito sanitario e che dall'inizio dell'emergenza monitora i dati sull'andamento dell'epidemia di coronavirus. I ricercatori hanno chiesto al governo e alle Regioni d rendere disponibili tutti i dati dell'epidemia, specialmente quelli che riguardano proprio le aree di rischio a cui sono assegnate le Regioni e che prevedono misure di contenimento dell'infezione differenti.
Gli ultimi dati su contagi, ricoveri e decessi
Per quanto riguarda l'ultimo periodo preso in esame, ossia quello della settimana tra il 28 ottobre e il 3 novembre, si è nuovamente registrato un aumento esponenziale di nuovi casi e un incremento del rapporto tra casi testati ed esiti positivi. Rispetto alle ultime rilevazioni, sono cresciuti del 63,9% i casi attualmente positivi e allo stesso modo crescono i pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva. Incremento importante anche nei decessi.
- Decessi: 1.712 (+72,1%)
- Terapia intensiva: +814 (+57,7%)
- Ricoverati con sintomi: +7.159 (+51,3%)
- Nuovi casi: 195.051 (+49,7%)
- Casi attualmente positivi: +163.052 (+63,9%)
- Casi testati +95.147 (+13,2%)
- Tamponi totali: +163.945 (+14%)
Oltre il 60% di attualmente positivi in più
"Nell’ultima settimana si conferma l’incremento di oltre il 60% dei casi attualmente positivi che si riflette sul numero dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva, portando gli ospedali verso la saturazione. Questo impatta anche sul numero di decessi, che nell’ultima settimana ha superato quota 1.700 con un trend che, con una settimana di ritardo, ricalca di fatto le altre curve. L’ulteriore incremento del rapporto positivi/casi testati, prossimo al 24%, certifica definitivamente il crollo dell’argine territoriale del testing & tracing", commenta il presidente della fondazione, il dottor Nino Cartabellotta. Anche se rimangono diverse variabilità regionali, su tutto il territorio nazionale la situazione si sta facendo più critica.
Le richieste di Gimbe al governo
Alla luce delle nuove misure anti-contagio che si sono rese necessarie dal peggioramento della curva epidemiologica, la fondazione Gimbe ha chiesto al governo di condividere i dati che hanno stabilito la divisione del Paese in tre aree a seconda del livello di rischio. Precisamente i ricercatori hanno chiesto di:
- Includere nel report giornaliero dei casi di COVID-19 del Ministero della Salute il numero di contagi per Comune, oltre che i dettagli per Province e Comuni dei numeri relativi a isolamento domiciliare, ospedalizzati con sintomi, terapie intensive, guariti, deceduti, tamponi, casi testati.
- Rendere accessibile il database nazionale di sorveglianza integrata dell’Istituto Superiore di Sanità in formato open data.
- Rendere pubblici tutti i report dei 21 indicatori stabiliti dal D.M. 30 aprile 2020 utilizzati per il monitoraggio della fase 2, rendendo altresì accessibile il database in formato open data.
- Rendere espliciti e riproducibili i criteri per l’attribuzione del livello di rischio stabiliti dagli artt. 2 e 3 del DPCM 3 novembre 2020.
"Bisogna rendere chiari gli indicatori sul livello di rischio"
Sull'assegnazione della Regione a un'area gialla, arancione o rossa il Dpcm passa la palla al documento “Prevenzione e risposta a COVID-19” della Cabina di regia. Ma al momenti "parametri e indicatori su cui si basa l’assegnazione dei “colori” non sono sufficientemente chiari e oggettivi da escludere valutazioni discrezionali, rischiando che il meccanismo delle chiusure e riaperture, lungi dall’essere automatizzato, richieda sempre e comunque un passaggio politico con le Regioni", precisa Cartabellotta.
Che poi conclude: "L’introduzione di misure proporzionate a differenti livelli di rischio regionale è totalmente condivisibile, anzi, ove necessario, bisognerebbe agire con misure più restrittive a livello di Provincia o Comune. Ma è indifferibile rendere pubblici i criteri per classificare il livello di rischio, anche per evitare continue negoziazioni tra Governo e Regioni che aggiungono ulteriori ritardi alla “non strategia” dei DPCM settimanali, concedendo un vantaggio sempre maggiore al virus. In ogni caso, manca una strategia a medio-lungo termine condivisa tra Governo e Regioni, in grado di potenziare adeguatamente i servizi sanitari e informare la popolazione, al momento chiamata a sottostare passivamente a nuove restrizioni settimanali che rendono incerta la quotidianità e alimentano preoccupazioni sul futuro".