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Giannino, la laurea finta in un paese in cui la laurea non vale niente

Il leader di “Fare per fermare il declino” annuncia le dimissioni, per la questione dei master e le lauree inesistenti presenti nel suo curriculum. Ma che senso aveva millantarle? E soprattutto qui in Italia, dove i titoli di studio sono quanto di più vicino alla carta straccia?
A cura di Andrea Parrella
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Rai - Trasmissione Ballarò

Sappiamo già cosa è accaduto ad Oscar Giannino negli ultimi due giorni. Ben nota è l'importanza che questa vicenda interna ad un movimento, che difficilmente arriva al 4% su scala nazionale, possa avere sulla governabilità del paese (la fiducia della gente in Lombardia, dove Fare toglieva a a Berlusconi un bel gruzzolo di voti rendendo verosimilmente possibili alla sinistra le speranze risicate di una maggioranza in senato, potrebbe venire meno). Ma accade, è già accaduto e palesare tramite espressione facciale l'amaro in bocca serve a poco.

Più che altro fa riflettere il movente. Due filoni di pensiero hanno provato a sviscerare la questione, naturalmente in modi diametralmente opposti. I pro Giannino hanno ritenuto le dimissioni di Zingales a quattro giorni dalle elezioni un atto inutile, visto che il giornalista resta leader ed eventualmente riconsegnerà il proprio mandato subito dopo la tornata elettorale. Dall'altra parte chi ha appoggiato strenuamente il gesto di Zingales persegue una logica rigorosa ed integerrima che non è tradizionalmente "nostra".

Jacopo Tondelli, in un articolo su Linkiesta, scrive a ragion dovuta, che "Nel paese in cui si è potuto votare, in parlamento, che Ruby Rubacuori era davvero ritenuta nipote di Mubarak. Nel paese in cui una classe politica informe seleziona se stessa e non si capisce per fare cosa. Nel paese in cui i manager e gestori di aziende di ogni scala possono distruggere valore, predicare il mercato e poi rimanere al proprio posto. Nel posto in cui il concetto stesso di regola sembra suonare fastidioso. Insomma, in questo paese, che si chiama Italia, l’unico che salta per aver detto una palla si chiama Oscar Giannino".

Ritengo una postilla vada aggiunta, che penetra proprio nel merito della questione, ovvero oltrepassa il concetto di "palla", per concentrarsi su quello di "titolo" e del valore che abbia in Italia. Perché, ammesso che si voglia ritenere imprescindibile la buona fede di Luigi Zingales, dobbiamo valutare quanto possa essere spostato il baricentro del sentire comune verso la gravità del gesto disonesto di Giannino (non si tratta più di web maligno, ora c'è anche un audio nel quale il giornalista si fregia del master alla Booth University). Ed è un gesto che provoca disistima nei confronti di Giannino, più che per la disonestà espressa, per l'incomprensione nei confronti del vanto.

Sempre Tondelli attribuisce il tutto ad un eccesso di vanità del dandy candidato di Fare nell'attribuirsi un titolo che, di fatto, nulla aggiunge e nulla toglie alla sua preparazione eccellente. E' proprio questo che non si capisce: a quale scopo Giannino si inventa un titolo, qualcosa che dalle nostre parti abbiamo abitudine a ritenere non molto più di un proverbiale pezzo di carta? Qui un titolo di studi vale così poco da rendere di maggiore vanità affermare di conoscere senza avere titoli, piuttosto che avere titoli che non si posseggono. Un master, in fondo, una laurea possono avercele tutti. Per noi il titolo conta poco perché non è necessariamente effetto del merito. Insomma, per tirare le somme: l'errore di Giannino, in terra italica ha un valore così infinitesimale che del suo gesto di vanità siamo arrivati ad accorgercene pochi giorni prima delle elezioni, grazie a qualcuno che ce lo ha segnalato. Nel frattempo Giannino è pronto a fare un passo indietro, ha lasciato alla direzione del movimento la responsabilità di decidere del suo futuro: un movimento, purtroppo, già compromesso.

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