"Mi sono dimesso dalla carica di capogruppo di Futuro e Liberta' per due ordini di motivi: perche' a suo tempo sono stato ‘nominato'; perche' l'organigramma definito successivamente all'assemblea costituente non e' corrispondente al mandato che ho ricevuto dal gruppo del Senato in quella sede e con il posizionamento strategico di centrodestra emerso dall'Assemblea stessa". Con queste parole, Pasquale Viespoli, ha annunciato le sue dimissioni dal ruolo di guida dei senatori futuristi. Non si può parlare però di un fulmine a ciel sereno. E’ infatti il risultato di una riunione, tenutasi nel pomeriggio proprio presso gli uffici parlamentari del senatore sannita, degli esponenti futuristi in dissenso verso le scelte compiute dal partito nella prima assemblea costituente della neonata soggettività politica svoltasi a Milano nel fine settimana scorsa.
La riunione di oggi assumeva dunque un significato particolare e che il suo esito non fosse affatto scontato era prevedibile. Per la prima volta dalla nascita del movimento, ad essere centrale nella polemica interna non era tanto la consueta disputa tra “falchi” e “colombe” ma piuttosto l’insieme di scelte compiute nell’ultimo periodo da Gianfranco Fini, leader (fin qui) indiscusso di FLI. Nelle ore immediatamente precedenti all’incontro del pomeriggio, lo stesso senatore Viespoli (da sempre vicinissimo alle posizioni dell’attuale Presidente della Camera), ai microfoni del TG1, aveva dichiarato: “Fini aveva alcune scelte davanti a sé: dimettersi da presidente della Camera o determinare la costruzione di un soggetto politico che motivasse per stile e per tono la sua permanenza sullo scranno più alto di Montecitorio. Invece credo che Fini abbia voluto compiere una scelta che invece di contribuire a unire, ha contribuito a dividere”.
“Non è una questione di poltrone o di nomine, quelle le avevamo e le abbiamo già lasciate”, ha dichiarato inoltre il senatore beneventano che, in effetti , ha ricoperto, fino alla definitiva rottura interna al PDL, la carica di Sottosegretario al Lavoro, “il problema è politico: ci può essere la percezione che il partito vada a sinistra e quando si hanno certe percezioni si è vicini in termini politici all'equivoco”.
Detto questo, già alla vigilia dell’assemblea di Milano erano in realtà note le diverse posizioni dei futuristi in relazione a una possibile grande alleanza con le sinistre nel caso di un immediato ritorno alle urne. Ad accrescere le distanze, dunque, sono state proprio le scelte sugli organigrammi interni compiute dall’assemblea e sancite dal Presidente della Camera. In particolare, le cosiddette colombe non hanno digerito la nomina di Italo Bocchino a Vicepresidente del partito.
Bocchino, infatti, da tempo non riscuote più molta simpatia tra alcuni esponenti di FLI in quanto considerato eccessivamente antiberlusconiano. Affidargli la vicepresidenza, in effetti, equivale a riconoscergli la leadership del partito (il Presidente è lo stesso Fini già autosospesosi per preservare l’autonomia del suo incarico istituzionale) e dunque sposare una linea politica più aggressiva nei confronti degli ex alleati di governo e compagni di partito. Come se non bastasse, per la guida del gruppo di FLI alla Camera dei Deputati (ruolo ricoperto fino ad ora proprio da Bocchino) è stato indicato l’on. Della Vedova, definito dalla stampa “un falco a metà”.
Evidentemente, non erano questi gli accordi è ciò ha determinato la reazione di un groppo autorevole di senatori e deputati, guidati dallo stesso Viespoli e da Adolfo Urso. Proprio quest’ultimo, alla vigilia della tre giorni milanese, era dato come papabile a sostituire Bocchino come capogruppo alla Camera e si è trovato poi declassato al ruolo di portavoce. Troppo poco per chi, soltanto qualche mese fa, era vice Ministro dello Sviluppo Economico. In tal senso, il suo lapidario commento della vicenda, “provo sconcerto e amarezza”, non lasciava margini d’interpretazione.
Si è giunti così alla riunione di questo pomeriggio. Il clima era teso e l’esito incerto. Dagli uomini più vicini a Fini arrivano tuttavia messaggi tranquillizzanti: “ Siamo un partito vero ed è naturale che ci si confronti. In ogni formazione politica, quando si compiono delle scelte si scontenta qualcuno”, questo era il leitmotiv proveniente dall’area più dura del partito. Dall’altra parte del fronte, puntuale è arrivata la risposta. Con le dimissioni di Viespoli, le colombe lanciano un messaggio chiaro: la strada da fare la decidiamo insieme. Sarebbe sbagliato parlare di spaccatura. Ma non vi è dubbio che siamo a un passaggio cruciale per la sopravvivenza stessa del movimento fondato da Fini. Al Presidente della Camera ora spetta il compito di ricucire una situazione che diventa davvero pericolosa. La sopravvivenza del gruppo autonomo al Senato è appesa a un filo: la defezione di un solo senatore comporterebbe la scomparsa di FLI a Palazzo Madama: un disastro che Fini dovrà scongiurare ad ogni costo. Fini, appunto, e non Bocchino. Ed è questo il primo risultato che ottengono oggi Viespoli e gli altri. con l’esito dell’incontro odierno che richiede l’intervento diretto del leader futurista. E non si accettano deleghe.
Intanto, il gruppo di FLI al Senato si è già riunito ed i senatori prendendo atto delle dimissioni di Viespoli, condividendo le motivazioni del gesto, gli hanno riaffidato l’incarico di Capogruppo in quanto “sintesi delle diverse posizioni emerse all'interno del gruppo e con il mandato unanime ad assicurare il posizionamento politico nel centrodestra”. E’ una classica partita a scacchi. La prossima mossa tocca a Fini.
A cura di Antonio Corbo