Ormai è una saga. Dopo "Narcos" tutti sono concentrati nella nuova serie tv "Torna a casa Lorenzin": una serie di episodi (di cui non si vede la fine come accade per tutte le serie di successo) che riprendono l'epopea di una ministra per caso che si ritrova ad avere fastidiosi impicci come il dovere avere un'opinione, gestire le sue deleghe e comunicare eventuali campagne ministeriali; lei invece preferirebbe fare altro (come calendarizzare l'ovulazione degli altri oppure scolpire su pietra le dieci buone abitudini comandate) e vive questo dissidio interiore come una castrazione intellettuale.
L'ultima puntata, quella di oggi, è un capolavoro di sceneggiatura, roba da rimanere incollati allo schermo: dopo avere partorito (tanto per rimanere in tema) la campagna di comunicazione più fallimentare della nostra storia repubblicana oggi ha proposto la peggiore arrampicata sugli specchi dati tempi di Houdini. Secondo la ministra la fotografia usata per lanciare il fertility day (che puntava tutta sulla differenza tra felici bianchi dai denti sbiancati contro negri brutti, sporchi e cattivi) non sarebbe stata quella "visionata e vidimata dal Gabinetto". In pratica la ministra a sua insaputa ha subito una campagna di comunicazione a sua insaputa. Un insaputismo al quadrato, una cosa del genere, che di questi tempi potrebbe presto proiettarla evidentemente alla Presidenza del Consiglio, visti i tempi.
Quindi, nell'ordine: un ministero che dovrebbe essere guida politica e amministrativa di un Paese intero riesce a inanellare prima un'orrida comunicazione verbale (l'infertilità rivenduta come malattia, qualche settimana fa) poi cerca di rattoppare con un'immagine razzista (tra l'altro le foto sono robetta da stock, come scrivere una tesi di laurea con un copia e incolla su google) e oggi la ministra si scusa dicendo di non avere verificato il modo in cui questa campagna avrebbe dovuto rimediare la magra figura precedente. Una brutta figura al quadrato, insomma, anche lei. Anzi, addirittura, la Lorenzin grida al complotto annunciando urbi et orbi (come piace a lei) di avere "attivato il procedimento di revoca per la responsabile della comunicazione della direzione generale del suo ministero". In pratica alla fine il salvatore è sempre il capro espiatorio, non c'è fede che tenga.
Bisogna ammettere però che la "squadra di governo" della ministra Lorenzin appare alla luce degli ultimi fatti sempre di più un grande parco dei divertimenti: ci si immagina stagisti sottopagati che stanno tutto il giorno davanti ai pc mentre qualcuno gli urla nelle orecchie «finché non mi trovate almeno un negro che fuma con la faccia incattivita mentre guarda con disprezzo un'indifesa e soggiogata donna bianca all'interno di una casa disordinata con sullo sfondo una banda di sbandati alcolisti che frusta una vecchietta sola in un parcheggio buio oggi non andate a casa!». Deve essere una vita d'inferno fare il googlatore per il ministero della salute. Ma ancora peggio deve essere per i correttori di bozze: me li vedo tutti stremati dal dovere spremere almeno millecinquecento-duemila battute senza avere nemmeno un mezza fetta di concetto. Tutto il giorno inchiodati alla macchinetta del caffè aspettando la notizia di un decesso per cannabis. Oppure immaginate il comitato scientifico: il fior fiore di scienziati impegnati a trovare il collegamento tra lo spritz e l'infertilità, proni a testare gli effetti malefici degli spettinati sulla salute pubblica e sempre intenti a trovare una molecola velenosa nel luppolo. Roba da Nobel per l'abuso di fantasia scientifica.
Infine c'è l'ultima accusa: "il razzismo è negli occhi di chi guarda" dice la Lorenzin. Che è un po' come dire che "Venezia è bella ma non andrei mai a viverci", "non c'è più la mezza stagione" oppure "si stava meglio quando si stava peggio". Cari amici, sappiatelo: è colpa nostra se abbiamo notato che il negro stava con i cattivi e gli ariani con i buoni. Siamo noi che pretendiamo che un ministro ministri come se fosse una cosa facile. Siamo noi. È colpa nostra.
Almeno fino alla prossima puntata.