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“Fumetti per bambin*”: perché vi fa così paura il linguaggio inclusivo?

Un semplice cartello ha scatenato polemiche e contestazioni: lo specchio di un disagio profondo rispetto a un mondo che sta cambiando e si fa fatica a comprendere.
A cura di Jennifer Guerra
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Sta circolando molto una fotografia scattata a un cartello di un negozio Feltrinelli con la scritta: “Fumetti per bambin*”. Il “cartello della discordia”, come è stato ribattezzato, sta generando polemiche e prese di posizione, con inviti addirittura a boicottare la catena di librerie che starebbe così sposando l’“ideologia gender”, ancora peggio sui bambini. Ma oltre alla polemica sul “gender”, c’è anche chi lamenta la morte della lingua italiana, di cui si farebbe promotore un luogo di cultura. Spesso le due polemiche vanno a braccetto, visto che il linguaggio è spesso il primo veicolo dei cambiamenti sociali.

L’asterisco, insieme alla schwa (ə), è una delle soluzioni linguistiche proposte per aggirare il problema delle desinenze maschili nella lingua italiana. A differenza di altre lingue che sono monogenere o prevedono il genere neutro, l’italiano ha due generi grammaticali: femminile e maschile. Per riferirsi a un gruppo esteso di persone, a prescindere dalle quote effettivamente presenti, l’italiano ricorre al “maschile sovraesteso” o non connotato. Se dico: “i bambini” posso riferirmi a un gruppo in cui sono presenti sia maschi che femmine, mentre se dico: “le bambine” è inequivocabile che mi riferisco a un gruppo di sole femmine. Per questo motivo, la lingua italiana è stata spesso percepita come una lingua “maschilista” e ci sono stati vari tentativi di denunciare e trovare soluzioni a questo problema linguistico, a partire dalle Raccomandazioni sull’uso non sessista della lingua italiana della linguista Alma Sabatini, nel 1987.

Anche grazie al femminismo e ai movimenti LGBTQ+ che lottano per il riconoscimento di generi diversi da quello maschile e femminile, negli ultimi anni sempre più persone hanno cominciato a sperimentare alcune strategie per rendere il linguaggio più ampio e inclusivo. Sostituire la desinenza con un asterisco è una di queste strategie. Sebbene spesso vengano raccontati come cambiamenti imposti dall’alto, con ammiccamenti cospirazionisti, schwa, asterischi e loro simili sono nati nel contesto dei movimenti sociali dal basso e si sono via via diffusi nell’uso. Processi simili sono in atto in molte lingue che hanno lo stesso problema dell’italiano, come ad esempio il francese o lo spagnolo.

Come ha ricostruito la sociolinguista Vero Gheno in un articolo per il portale di Treccani, il cosiddetto linguaggio inclusivo è diventato un caso nel 2020, grazie a un articolo di Mattia Feltri su La Stampa, che metteva in ridicolo l’uso di asterischi e schwa. In realtà, era già diffuso in ambienti femministi e LGBTQ+ militanti, sui social e cominciava ad affacciarsi anche nei libri e nelle pubblicità. Molti commentatori e istituzioni culturali come l’Accademia della Crusca si sono pronunciate contro l’introduzione di questi simboli, accusandoli di essere estranei alla lingua italiana o di rappresentare un cambiamento forzato, ignorando il fatto che si tratta di esperimenti linguistici che nessuno ha intenzione di imporre.

Chi sostiene, giustamente, che le lingue cambiano con l’uso dovrebbe quindi essere perfettamente in grado di distinguere uso e imposizione. Il fatto che una libreria Feltrinelli (ma in passato il “problema” ha riguardato case editrici, aziende o personaggi famosi) usi l’asterisco non significa che lo stia “imponendo”. Può darsi che l’asterisco, la schwa, la u o altro diventino la norma in futuro, così come è possibile che si rivelino un flop, ma proprio perché la lingua cambia per l’utilizzo che ne fanno le persone che la parlano non si possono fare né previsioni né prescrizioni.

Il problema del linguaggio inclusivo però non è solo linguistico. Sempre a proposito di imposizioni, dietro quell’asterisco c’è chi legge un tentativo di indottrinare i bambini a quella che viene erroneamente indicata come teoria o ideologia gender. Non sappiamo quali libri fossero indicati dal cartello incriminato, ma i libri per bambin* altro non sono che libri per l’infanzia, che possono appassionare e interessare a prescindere dal genere. Come per i giocattoli, anche nell’editoria spesso c’è una netta divisione tra “libri per maschi” e “per femmine”, quindi se si intende veramente abbattere gli stereotipi di genere è importante riconoscere che esistono libri per bambin*, in cui tutti si possono rispecchiare. L’indottrinamento vero non è quello di un asterisco ma quello secondo cui gli interessi, i comportamenti e persino le letture di bambini e bambine devono essere indissolubilmente legati a ciò che hanno fra le gambe.

Linguaggio e società vivono in una relazione di influenza reciproca: il cambiamento dell’uno segue quello dell’altra, e viceversa. Un cartello che fa così paura e che apre a così tanti livelli di dietrologia è lo specchio di un disagio più profondo rispetto a un mondo che sta cambiando e che si fa fatica a comprendere. La speranza è che i bambini e le bambine a cui sono destinati questi libri lo affrontino con strumenti migliori del panico morale degli adulti.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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