Frequenze tv, niente sconto per Rai e Mediaset
Solo ieri Partito Democratico e Forza Italia si erano lasciati con “reciproca soddisfazione”: Giovanni Toti aveva dichiarato “morto” il Patto del Nazareno ed il ministro Maria Elena Boschi (spalleggiata da Debora Serracchiani) aveva replicato spiegando che la cosa era “meglio per tutti”. Sono passate poche ore e gli effetti dell’ufficializzazione della rottura cominciano a manifestarsi, sotto la forma di una polemica politica in un settore “caro” soprattutto ai berlusconiani: la regolamentazione delle frequenze televisive.
A quanto si apprende, infatti, il Governo avrebbe riformulato un emendamento al decreto Milleproroghe (che aveva ottenuto il via libera dal Cdm pochi giorni prima della fine del 2014), con la proroga fino alla fine dell’anno in corso per quel che concerne l’importo dei diritti d’uso per le frequenze televisive in digitale. Stando a quanto sembrava probabile, l’esecutivo avrebbe infatti dovuto adottare i criteri della delibera dell’AgCom del 30 settembre, in base ai quali Rai e Mediaset avrebbero risparmiato circa 50 milioni di euro. Alla base di tale sconto ci sarebbe stato il fatto che con il passaggio al digitale le frequenze non sono più pagate dai soli broadcaster, ma anche dagli operatori di rete che risultano assegnatari.
Con la nuova formulazione, invece, spetterà al ministero dello Sviluppo Economico determinare "in modo trasparente, proporzionato allo scopo, non discriminatorio l'importo dei diritti amministrativi e dei contributi per i diritti d’uso delle frequenze televisive in tecnica digitale”. Una scelta che dunque dovrebbe far cadere definitivamente lo “sconto” e che è stata ufficializzata poche ore fa con la notizia del congelamento dei canoni fino alla fine dell’anno: insomma, né Rai né Mediaset otterranno risparmi dal provvedimento. A difendere la ratio del provvedimento è il sottosegretario allo Sviluppo Economico con delega alle TelecomunicazioniAntonello Giacomelli, che spiega: “Le norme vigenti non prendono compiutamente atto del passaggio dall'analogico al digitale e determinano quindi distorsioni ed un onere eccessivo sugli operatori di rete. La scelta del Governo risponde ai principi di finanza pubblica”.