Forum Disuguaglianze a Fanpage.it: “Il governo Meloni ha le idee chiare: essere poveri è una colpa”
Il primo maggio, il governo Meloni ha approvato un decreto con cui ha fissato le due misure che prenderanno il posto del reddito di cittadinanza. Pochi giorni fa, ha lanciato una carta acquisti per fare la spesa che sarà rivolta alle famiglie con reddito basso, ma solo se non ricevono altri aiuti dallo Stato. Andrea Morniroli, co-coordinatore del Forum disuguaglianze e diversità, ha risposto alle domande di Fanpage.it tracciando un quadro: l'esecutivo punta ad aumentare le disuguaglianze per prendersi i voti del ceto medio impoverito.
La nuova carta acquisti sarà rivolta solo alle famiglie che non prendono già il reddito di cittadinanza, ma sarà escluso anche chi è in cassa integrazione o riceve la Naspi. È una scelta strana?
No, è in perfetta sintonia con tutti i provvedimenti di questo governo. Il governo Meloni a differenza di quelli di campo democratico-progressista ha le idee chiare. A me non piacciono, ma sono chiare. Ha fatto tornare prepotentemente la politica al governo.
E quali sono queste idee?
Non sono nuove per la destra sociale, sulle tematiche di contrasto alla povertà e welfare: interventi corporativi, identitari (perché devi essere italiano) e paternalisti. La carta acquisti per la spesa alimentare risponde ai bisogni alimentari degli ultimi con un po' di carità. Ho rispetto per la carità, ma quando si fa politica dello Stato non va bene. Cito Paolo VI: "Sento l'urgenza di non restituire in termini di carità, quello che è già dovuto in termini di giustizia".
Chi difende la carta acquisti potrebbe dire che è giusto dare un buono a chi non ha accesso ad altri aiuti, in modo da raggiungere più persone. Ha senso?
Il problema è che sulla povertà è incidono più fattori. Il discorso non può essere "tieni questo bonus, ma non ti do il resto". Perché con quella carta intervengo su un aspetto, un fattore, e poi con altri interventi devo lavorare su altro. Ma manca una vera idea di come funziona la povertà. Peraltro, il solo buono per la spesa è limitante e paternalista: lo Stato dice al povero cosa può fare, come se non ci fosse la capacità di scegliere in autonomia.
La stessa concezione della povertà emerge anche nell'ultimo decreto sul lavoro? Il governo ha approvato le norme che sostituiranno il reddito di cittadinanza.
Con questo decreto, torniamo a essere l'unico Paese europeo insieme a Cipro a non avere una forma di sostegno al reddito. Questo avviene anche perché c'era un vizio di fondo: all'epoca in cui è stato approvato il Rdc, durante il governo di M5s-Lega, non si poteva dire che bisognava aiutare con dei soldi i poveri, perché ormai nel Paese i poveri sono diventati responsabili della loro posizione. Quindi si è confuso il reddito con una misura di politica attiva del lavoro.
Perché è una distinzione importante quella tra sostegno alla povertà e politica attiva del lavoro?
Le misure di sostegno al reddito hanno uno scopo: mettere un po' più in pari chi è troppo dispari per fare qualsiasi investimento su di sé o sulla sua famiglia. Dare respiro alle persone. Poi, dopo, si accede ad altri tipi di servizi, percorsi di accompagnamento, compresi quelli al lavoro.
Con la nuova misura del governo Meloni cosa cambia?
C'è un intervento per certe famiglie povere, ma solo alcune, quelle meritevoli. Perché per avere dei soldi dallo Stato devi essere un povero non colpevole. La povertà è una colpa, dovuta al tuo comportamento. Poi ci sono i poveri buoni, da aiutare, e quelli cattivi da punire. E peraltro era uguale a fine Ottocento: le politiche per la povertà inglesi erano solo per chi aveva figli o aveva una disabilità, gli altri a lavorare in fabbrica da 14 anni.
Oggi invece si fa una distinzione per gli ‘occupabili': non riceveranno l'Assegno di inclusione le famiglie composte da maggiorenni, con meno di 60 anni, che non hanno una disabilità.
Ma che mondo è? Non esiste da nessuna parte, non funziona così. Si valuta la ‘occupabilità' senza tenere conto della distanza dal mercato del lavoro. Io ho fatto l'assessore alle politiche sociali a Giugliano in Campania, quando la Regione sperimentò il reddito di cittadinanza. Non se lo ricorda più nessuno, ma avvenne nella giunta Bassolino, con l'assessora al Lavoro Buffardi (dal 2000 al 2005, ndr). Le persone che venivano da me erano lavoratori adulti, tra i 45 e i 55 anni, che perdevano il lavoro in settori senza ammortizzatori sociali, a bassa scolarità e con basse competenze. Questi lavoratori qui sono distanti dal mercato del lavoro. E anche se si formano, quale azienda li prende? Per quanto riguarda gli altri due criteri: abbiamo deciso che una persona con disabilità non può lavorare? Abbiamo cancellato la legge 104? E una donna con figli non può lavorare?
Poi c'è l'altra parte della nuova misura, il Supporto per la formazione e il lavoro, rivolto proprio agli occupabili.
Sì, che in pratica replica misure di inserimento lavorativo che non hanno funzionato. Soprattutto nel Mezzogiorno, i centri per l'impiego funzionano poco. Con 350 euro al mese, per un anno, ditemi cosa si pensa di fare. Bastava guardare al Rdc: il 18% dei percettori era gente che già lavorava, il problema vero è che il lavoro è povero, sottopagato e spesso irregolare. E allora il punto è contrastare un mercato del lavoro precarizzato, flessibilizzato, in cui ormai lavorare non è un diritto ma un dono. Il problema non è un ragazzo che sceglie il reddito perché qualcuno gli offre 400 euro in nero per dieci ore di lavoro al giorno: il problema è che qualcuno gli offre un lavoro a 400 euro in nero.
Il nuovo decreto facilita anche la proroga dei contratti a termine ed espande l'uso dei voucher. Si rendono più vulnerabili i lavoratori?
Si favorisce la precarizzazione del lavoro. È un piano unico: da una parte libero manodopera a basso costo altamente ricattabile, dall'altra modifico il mercato del lavoro rendendolo ancora più precario. Detta semplice, le politiche del governo Meloni alimentano le disuguaglianze.
Queste scelte, annunciate come un aiuto alle persone in povertà e ai lavoratori, sono legate all'ideologia della destra? Oppure sono un modo per aggirare la scarsità di risorse e fare comunque dei proclami elettorali?
Ci sono entrambe le cose. C'è sicuramente il continuo portare avanti battaglie di schieramento e di propaganda, perché nel frattempo non si può intervenire fino in fondo sulle altre questioni più significative, o perché non ci sono fondi o perché non te lo lasciano fare. Penso alle politiche migratorie, dove l'Unione europea impedisce di fare ciò che davvero il governo Meloni vorrebbe. Quindi fai altre cose per mascherare quelle che non puoi fare. Dall'altra parte è proprio una scelta di campo. La politica dei ceti benestanti da anni non ha più guardato in basso.
Si riferisce al centrodestra?
No, vale anche per il centrosinistra. La politica delle élite non ha più guardato sotto.
E a cosa ha guardato?
Tra le élite e gli ultimi c'è il ceto medio impoverito, rancoroso ed arrabbiato. Quello che negli anni si è espresso prima con il voto alla Lega, poi al Movimento 5 stelle, all'antipolitica. Le élite hanno scelto quello come terreno di costruzione del consenso. Come? Dando in pasto un nemico. Poveri, migranti, anche i ragazzi che fanno i rave. Sono la causa della tua precarietà, dicono le élite. Quindi attacco quelli, faccio un po' di carità perché non posso contenere o reprimere tutti, criminalizzo una po' di povertà e intanto privilegio un certo ceto, spostando le risorse.