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Fiom a Fanpage: “Stellantis non investe in Italia da quindici anni, ora tuteli i suoi dipendenti”

Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil, ha raccontato a Fanpage.it i timori e le rivendicazioni per il futuro di Stellantis in Italia: non solo Mirafiori e Pomigliano, ma molti altri stabilimenti hanno situazioni di crisi o di incertezza per il futuro. E le rassicurazioni dell’ad Carlos Tavares non bastano.
A cura di Luca Pons
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Nelle scorse settimane è scoppiata la polemica tra il governo Meloni e Stellantis, il gruppo automobilistico nato dalla fusione tra Psa e Fca (Fiat-Chrysler). Tra la cassa integrazione a Mirafiori e i preoccupanti annunci su Pomigliano, sono aumentate le preoccupazioni della politica e dei sindacati sulla presenza dell'azienda in Italia. L'amministratore delegato Carlos Tavares ieri ha in parte rassicurato, dicendo che per Mirafiori e Pomigliano "c'è un futuro" e che Stellantis punta a produrre un milione di auto in Italia entro il 2030. Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile mobilità per il sindacato, ha risposto alle domande di Fanpage.it: "Se non ci sarà una forte discontinuità rispetto al recente passato, siamo già dentro un percorso di lento, progressivo, inesorabile spegnimento degli stabilimenti Stellantis in Italia", ha detto.

Gli stabilimenti di cui si parla di più sono Mirafiori a Torino e Pomigliano in Campania. Com'è la situazione?

A Mirafiori stanno facendo sette settimane consecutive di cassa integrazione ordinaria, dopo averne già fatto un periodo prima di Natale. È scesa la domanda della 500 elettrica e della Maserati, due modelli su cui l'azienda non aveva previsto che ci sarebbero stati problemi. Infatti anche lo stabilimento Maserati a Modena è in cassa integrazione. Invece a Pomigliano dalla fine del 2023 sono terminati gli ammortizzatori sociali dopo 13 anni, e questo è positivo, ma ci sono preoccupazioni in prospettiva. Lì producono la Panda endotermica, e la stanno spremendo come un limone, la produzione è ancora importante. Ma terminerà nel 2026, e la Panda elettrica è già stata assegnata in Serbia. Pomigliano è l'unico stabilimento italiano che non ha ancora modelli elettrici assegnati.

In questo quadro, ieri l'amministratore delegato Tavares ha detto che "c’è un futuro per gli stabilimenti di Pomigliano d’Arco e di Mirafiori". Un segnale positivo?

Vogliamo risposte più concrete. Il governo deve convocare le organizzazioni sindacali e Tavares per fare chiarezza. Nell'ultimo mese e mezzo, nelle polemiche tra governo e Stellantis ci sono state grandi strumentalizzazioni, ma chi paga con le preoccupazioni quotidiane sono i lavoratori, sballottati da una parte e dall'altra. L'amministratore delegato deve garantire le produzioni in tutti gli stabilimenti italiani, e quindi anche l'occupazione.

Gli altri grandi stabilimenti storici sono Melfi e Cassino. La situazione va meglio?

No, a Melfi c'è la situazione più critica. È in contratto di solidarietà, e su oltre 5mila dipendenti circa 1.300 ogni giorno vanno a lavorare in trasferta a Pomigliano. Sono due ore di bus all'andata e due al ritorno. Anche Cassino è in contratto di solidarietà, che probabilmente sarà prorogato almeno fino alla fine dell'anno.

Poi ci sono gli altri. Ad Atessa si producono i furgoni Ducato, qui il rischio è che nei prossimi anni la produzione venga spostata in gran parte allo stabilimento ‘gemello' in Polonia. A Pratola Serra dovevano partire i motori per la normativa europea Euro 7, che però è bloccata. Infine, a Termoli dovrebbe nascere la cosiddetta gigafactory di batterie elettriche, che dovrebbe integrare i circa 2mila lavoratori che adesso fanno trasmissioni per i motori. Ma non ci sono certezze: la produzione dovrebbe iniziare nel 2026, ma entrare a pieno regime solo nel 2029. Fino ad allora cosa faranno i lavoratori?

L'impressione è che Stellantis stia preparando un addio all'Italia, o è un processo che si può fermare?

Io lo sostengo da un po' di tempo: se questo tavolo Automotive presso il governo non produrrà una forte discontinuità rispetto al recente passato, siamo già dentro un percorso di lento, progressivo, inesorabile spegnimento degli stabilimenti in Italia. Dal 2015 a oggi, sono usciti (da Fca prima e da Stellantis poi) 11mila lavoratori in Italia, oggi siamo sotto i 40mila. Sono numeri che rendono chiara la situazione.

Nel 2023 però gli utili di Stellantis sono aumentati a 18,6 miliardi di euro. L'ad ha fatto capire che il futuro dell'azienda in Italia dipende anche dagli incentivi che il governo metterà in campo per l'acquisto di auto elettriche.

Non è una novità. Al tavolo Automotive che ha sede al ministero delle Imprese si sta sviluppando una dinamica chiara: quella di un'azienda che sta alla finestra, ad aspettare le decisioni sulle risorse pubbliche da mettere a disposizione, per valutare le sue mosse. Intanto, il governo ha già stanziato 950 milioni di euro per gli incentivi sull'acquisto di auto. È chiaro che tutti i Paesi lo fanno, ci mancherebbe altro. Ma anche da Stellantis ci vogliono delle garanzie.

L'obiettivo, ha detto Tavares, è arrivare a produrre un milione di veicoli all'anno in Italia entro il 2030. È sufficiente?

Questo è l'obiettivo che ha posto anche il governo. Però no, non è sufficiente. Per mettere in sicurezza l'occupazione, l'obiettivo deve essere di produrre in Italia un milione di auto e 300mila veicoli commerciali leggeri. Per un totale di un milione e 300mila veicoli. L'obiettivo di un milione complessivo non è risolutivo. Nel 2023 si è arrivati a circa 750mila, e considerando che nel 2024 ci saranno importanti incentivi si potrebbe arrivare anche sopra gli 800mila. Ma se non si mette mano ai problemi strutturali, da qui a un anno saremo di nuovo da capo.

Il ministro Urso annuncia da mesi che si potrebbe puntare a portare un secondo costruttore in Italia. Sareste favorevoli?

Sì, siamo assolutamente d'accordo, ne parliamo da qualche anno. L'Italia tra i Paesi con un'industria automobilistica importante è l'unico con una sola casa costruttrice. Bisogna attrarre un altro produttore, che può anche essere cinese, noi non abbiamo preclusioni. Il governo Meloni ci ha detto se gli incentivi di quest'anno serviranno ad aumentare la produzione in Italia potrebbero essere prorogati, altrimenti si useranno i fondi rimasti per l'automotive (circa cinque miliardi di euro) per cercare nuovi costruttori. Il governo ha anche detto che da tempo parla con costruttori stranieri, ma noi non abbiamo notizie su questo.

In questa situazione quali sono le responsabilità del governo, e quali quelle di Stellantis?

Il governo – ma intendo dire ‘i governi', almeno negli ultimi vent'anni – parla di politiche industriali, ma in realtà queste politiche non vengono fatte. Bisogna mettere in piedi un tavolo, e decidere in quali settori investire nel nostro Paese. Stiamo mettendo a rischio l'automotive, ma anche la siderurgia e l'elettrodomestico. Stellantis ha la grossa responsabilità di non aver investito nel Paese negli ultimi quindici anni. E giustificarsi parlando della transizione ecologica oggi è strumentale.

Il passaggio all'elettrico non crea delle difficoltà?

Sicuramente è un percorso difficile per tutte le cause automobilistiche europee, ma i mancati investimenti e le scelte strategiche di Stellantis non dipendono solo da questo. E colpiscono anche l'indotto. Ad esempio, a Grugliasco l'azienda Lear ha 410 dipendenti e produce i sedili. Che servono sulle auto diesel come su quelle elettriche. Eppure la commessa è stata tolta alla Lear ed è passata a un'azienda turca.

E le responsabilità dei sindacati, quali sono?

Tutti abbiamo una consapevolezza: dobbiamo salvare l'industria automobilistica nel nostro Paese. Negli ultimi tredici anni su Stellantis ci sono state divisioni sindacali. Ma al di là di questo, c'è una scelta condivisa. Non è una caso che dieci giorni fa i segretari generali di Fim (Cisl), Fiom (Cgil) e Uilm (Uil) abbiano chiesto unitariamente un incontro alla presidenza del Consiglio con Tavares.

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