Fine vita, perché il testo in Aula rischia di slittare e come vogliono modificarlo i parlamentari
È iniziata solo ieri la discussione in Aula per il disegno di legge sul fine vita, ma già ci si trova di fronte a slittamenti e rinvii. Del resto stiamo parlando di una proposta di legge che per anni è rimasta ai margini del dibattito pubblico e politico, su cui è sempre mancata una sensibilità comune. Le posizioni dei partiti rimangono lontanissime e c'è la paura che anche questo testo faccia la fine di quello redatto da Alessandro Zan contro l'omotransfobia. Di sicuro l'iter non sarà semplice: in Aula sono già stati presentati circa 200 emendamenti e il tutto è stato rimandato alla prossima settimana, quando è atteso anche il pronunciamento della Corte Costituzionale per il referendum sull'eutanasia legale. Guardando il calendario dei lavori, però, è chiaro che almeno fino a marzo di fine vita non si discuterà.
Nel frattempo, le forze politiche cercano di modificare il testo arrivato in Aula. Sia in maniera più restrittiva e conservatrice, da parte del centrodestra, ma non solo. Alcuni emendamenti presentati da parlamentari che si battono per depenalizzare il suicidio assistito e per legalizzare l'eutanasia anche in Italia, infatti, hanno chiesto di rivedere la legge per avvicinarla al quesito referendario su cui si esprimerà a breve la Consulta. C'è infatti una grande differenza tra quanto propone il disegno di legge sul fine vita in Parlamento e gli obiettivi del referendum.
Di fatto il testo ora alla Camera recepisce una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, la quale indica le condizioni di non punibilità del suicidio assistito. Fu pronunciata sul caso della morte di Dj Fabo, accompagnato in una clinica svizzera per morire da Marco Cappato. Non si parla quindi di eutanasia attiva, che è invece il tema del referendum. Il quesito che sarà votato, se riceverà il via libera della Consulta, riguarda infatti l'abrogazione parziale dell'articolo 579 del codice penale, quello riguardante l'omicidio del consenziente.
Due cose diverse, quindi. Ma alcuni emendamenti presentati, come abbiamo detto, cercano di avvicinare le due questioni. Il deputato di +Europa, Riccardo Magi, ha avanzato circa una ventina di richieste di modifica in questo senso. Ad esempio, si chiede di sopprimere la parola "autonomamente" dall'articolo 1 del testo. Il quale recita:
Art. 1 La presente legge disciplina la facoltà della persona affetta da una patologia irreversibile e con prognosi infausta o da una condizione clinica irreversibile di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente e autonomamente alla propria vita, alle condizioni, nei limiti e con i presupposti previsti dalla presente legge e nel rispetto dei princìpi della Costituzione, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
In quella parola, quindi, sta tutta la differenza tra suicidio assistito e eutanasia attiva. Un altro emendamento all'articolo 2, va nella stessa direzione, chiedendo di aggiungere dopo la parola "autonomo" anche l'espressione "o da trattamento sanitario".
Art. 2 Si intende per morte volontaria medicalmente assistita il decesso cagionato da un atto autonomo con il quale, in esito al percorso disciplinato dalle norme della presente legge, si pone fine alla propria vita in modo volontario, dignitoso e consapevole, con il supporto e sotto il controllo del Servizio sanitario nazionale, secondo le modalità previste dagli articoli 4 e 5.
Insomma, i tempi rischiano di essere ancora lunghi a meno che il referendum non imponga un'accelerazione. Ciò che però è chiaro è che il Parlamento, così come del resto l'opinione pubblica, rimane divisa e anche questa volta non sarà un iter facile.