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Fine vita, la Consulta dà ragione a Cappato: non è punibile l’aiuto al suicidio

I giudici della Corte Costituzionale hanno deciso sulla punibilità dell’aiuto al suicidio, stabilendo la non legittimità dell’articolo 580 del Codice penale in alcune condizioni, quello appunto che punisce l’istigazione o l’aiuto al suicidio con pene tra i 5 e i 12 anni di carcere. La questione era stata sollevata dalla Corte d’Assise di Milano nell’ambito del processo per la morte di Dj Fabo, in cui era coinvolto Marco Cappato.
A cura di Annalisa Cangemi
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Dopo 11 mesi di attesa è arrivata la sentenza della Corte Costituzionale. I giudici della Consulta hanno deciso sulla punibilità dell'aiuto al suicidio, stabilendo, in sostanza, la non legittimità dell'articolo 580 del Codice penale, che punisce appunto l'istigazione o l'aiuto al suicidio con pene tra i 5 e i 12 anni di carcere. La questione era stata sollevata dalla Corte d'Assise di Milano nell'ambito del processo per la morte di Fabiano Antoniani, nome d'arte di Dj Fabo, in cui si è difeso Marco Cappato, il radicale e tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, da anni in prima linea nella battaglia per il fine vita. La Corte, quindi, ha ritenuto non punibile ai sensi dell'articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio.

Aiuto al suicidio non punibile in determinate condizioni

La Corte costituzionale ha deciso, come fa sapere il suo ufficio stampa, che “non è punibile, ai sensi dell'articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. La Consulta, però, torna a chiedere un intervento del Parlamento.

Cappato: da oggi siamo tutti più liberi

Marco Cappato ha commentato nell'immediato la decisione della Consulta: "Da oggi siamo tutti più liberi, anche chi non è d'accordo. Aiutare DjFabo per me era un dovere. La Consulta finalmente ha stabilito fosse un suo diritto. È una vittoria della disobbedienza civile, mentre i partiti giravano la testa dall'altra parte. Grazie grazie a tutti". Poco prima della sentenza Cappato,  che era accusato di istigazione al suicidio, aveva twittato così: "Comunque vada il mio processo, con la disobbedienza civile abbiamo raggiunto un grande risultato: portare all'attenzione dello Stato italiano ciò che i partiti rifiutavano da anni di prendere in considerazione".

La prima udienza pubblica si era tenuta già ieri a Palazzo della Consulta. I giudici nell'ottobre 2018 avevano emesso un'ordinanza, che dava al Parlamento quasi un anno di tempo per colmare un vuoto normativo, e produrre una legge sul fine vita. Ma in questi mesi nulla è stato fatto, e di quella legge non c'è nemmeno un testo base condiviso. "È una sconfitta di certa politica, ovvero della politica dei capi partito che prima di affrontare un tema devono prima mettersi d'accordo invece di andare in parlamento e discutere liberamente", ha detto ieri Cappato. Alla Camera sono state depositate diverse proposte di legge, tra cui una dei radicali che contiene l'eutanasia, ma le commissioni Giustizia e Affari sociali non sono mai riuscite a far partire i lavori, anche a causa delle divisioni sul tema dei due partiti che formavano il precedente governo M5s e Lega. In mancanza di una legge la Corte ha deciso di disapplicare il codice penale del 1930, per le vicende simili a quella di Dj Fabo. Per i giudici insomma quel reato non si può applicare per chi aiuta a morire un'altra persona affetta da malattia irreversibile.

"Fabiano ha cercato di rendere pubblica la sua sofferenza, per rendere la sua battaglia una battaglia per la libertà di tutti quanti, quindi credo che lui confidi in una risposta positiva della Corte costituzionale, come tutti noi, come gli avvocati che hanno lavorato per questa causa e per questa battaglia. Sono felice di essere qui", ha detto ieri Valeria Imbrogno, la compagna di Fabiano Antoniani, l'uomo che nel febbraio 2017 fu accompagnato in una clinica Svizzera per morire. È intervenuta anche Mina Welby, moglie di Piergiorgio Welby, morto nel 2006: "Certamente Piergiorgio sarebbe molto contento, e credo che molte persone si rivolgono noi chiedendo il suicidio assistito in Svizzera, non dovranno più avere paura di potere morire anche in Italia".

Medici cattolici sul piede di guerra

Ci sarebbero almeno 4mila medici cattolici pronti a fare obiezione di coscienza. A dirlo era stato il vicepresidente dell'Associazione medici cattolici italiani (Amci), Giuseppe Battimelli, avvisando l'intenzione di dare battaglia non appena il Parlamento legifererà a favore del suicidio medicalmente assistito. "La grande maggioranza dei medici italiani – ha detto Battimelli – è sulla nostra posizione". 

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