Nei giorni scorsi vi abbiamo raccontato delle polemiche sorte intorno alla presunta abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, non nascondendo che molte delle obiezioni mosse inizialmente al provvedimento annunciato dal Governo (che pure non ci convince per altri motivi) sembravano nate da un equivoco di fondo. In particolare, come sottolineato dallo stesso ministro Quagliariello nella conferenza stampa successiva al Consiglio dei ministri, il dubbio riguardava la ripartizione del 2×1000 nel caso in cui i cittadini "non esprimessero" una scelta definita (con la legge che stabilisce una ripartizione ai partiti anche della parte "non espressa", sia pure in proporzione rispetto alla scelta dei cittadini) con la paventata possibilità che si raggiungesse addirittura una quota maggiore rispetto alla precedente. A dare voce a tutta questa serie di preoccupazioni (e per la verità tacendo della questione delle "detrazioni", a nostro avviso probabilmente il lato più controverso dell'intera vicenda) dapprima Beppe Grillo (che ha parlato senza mezzi termini di "legge truffa"), poi autorevoli opinionisti e analisti di spessore. Tra tutti, Luca Ricolfi su La Stampa (ripreso praticamente dalla totalità degli "influencers") che in un commento faceva notare tra le altre cose:
Primo. Il disegno di legge non tocca né il finanziamento dei gruppi parlamentari, né il finanziamento dei gruppi dei Consigli regionali, due voci molto consistenti del finanziamento pubblico ai partiti.
Secondo. Lo Stato continuerà a sostenere dei costi per il finanziamento dei partiti, sia in forma diretta, sia in forma indiretta (le detrazioni fiscali, l’uso di immobili, gli spazi televisivi hanno un costo).
Terzo. Nel triennio transitorio (2014-2016), nulla assicura che la decurtazione dei rimborsi elettorali non venga compensata, o addirittura più che compensata, dal meccanismo del 2 per mille.
Quarto. Anche a regime (dal 2017 o dal 2018), nulla esclude che il finanziamento possa essere uguale o superiore a quello previsto dalla legislazione attuale, dovuta al governo Monti (l’articolo 4, anziché fissare un tetto preciso all’uso del 2 per mille, dice che la spesa non potrà superare «XXX», una cifra indeterminata che potrebbe persino essere maggior di quella attuale).
Ecco perché dicevo all’inizio che ho trovato offensivo l’articolo 1 che recita «E’ abolito il finanziamento pubblico dei partiti». No. Questo disegno di legge prova a ridisegnare una parte del finanziamento pubblico dei partiti secondo nuovi principi (proprio come aveva auspicato Bersani in campagna elettorale), ma non lo abolisce affatto.
Al professor Ricolfi, che omette di riportare le parole di Quagliariello sul "tetto massimo dei 61 milioni di euro" del nuovo sistema e che non precisa che il finanziamento dei gruppi parlamentari spetta alle rispettive Camere e che quello dei gruppi regionali è soggetto a direttive specifiche, risponde il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi, chiarendo il punto di vista del Governo sulla questione:
Caro direttore,
il nostro obiettivo è l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Non abolire i partiti. E nemmeno fare in modo che muoiano di inedia o portarli all’estinzione.
Perché a tanto sono arrivati solo i regimi totalitari. I partiti sono strumenti della democrazia. Ma è necessario che si rinnovino profondamente e radicalmente, che siano più trasparenti, che il cittadino possa giudicarli, se non giorno per giorno, quantomeno anno per anno.
Addio, dunque, al finanziamento pubblico ai partiti e spazio a un sistema semplice e snello di contribuzioni private volontarie in un quadro di agevolazioni fiscali. Sono due cose ben diverse e per spiegarlo basta fare un esempio facile. Se compro una seconda casa, pago un’aliquota al 10%. Se ne compro una prima vi è un’agevolazione al 4%. Sostenendo la tesi del professor Ricolfi dovremmo dire che se acquisto una prima casa questa è finanziata dallo Stato.
Altra questione: il regime transitorio. I tre anni necessari per estinguere del tutto il finanziamento pubblico non sono una scelta politica. È stata una scelta anzitutto di natura tecnica visto che il ministero dell’Economia ha spiegato chiaramente come il 2×1000 necessiti di tre anni prima di arrivare nelle casse dei partiti. Il sistema parte nel 2014 (bisogna infatti attendere l’approvazione della legge in Parlamento, che auspichiamo avvenga entro il 2013). Il che significa che le scelte potranno essere fatte dai contribuenti solo nella dichiarazione dei redditi che andrà compilata nel maggio 2014. Ma l’analisi di circa 40 milioni di dichiarazioni dei redditi e gli adempimenti successivi fanno sì che le somme saranno messe a disposizione dei partiti al più presto nel 2016, cioè circa un anno e mezzo dopo, come avviene per il 5×1000 delle Onlus. Non potevamo fare in modo che, chiuso un rubinetto, l’altro restasse asciutto. Dunque, abbiamo scelto di procedere a un drastico taglio dell’attuale finanziamento del 40% il primo anno, a fronte di nessuna riscossione del 2×1000, del 50% il secondo, del 60% nel terzo rispetto a fondi che sono già stati dimezzati l’anno scorso.
Ancora: tenere i partiti sempre sottoposti al giudizio dei cittadini. Il meccanismo del 2×1000 consente agli italiani di giudicarli anno per anno e non di legislatura in legislatura. Dunque le formazioni politiche saranno costrette a comportarsi sempre e costantemente in maniera corretta e trasparente visto che ogni anno vi sarà l’«esame» della dichiarazione dei redditi. Vorrei poi rassicurare il professor Ricolfi sul rischio che il finanziamento possa eccedere quello attuale: al finanziamento prossimo venturo è posto un tetto, che non è pari a «XXX», come egli scrive – formula difficile da rinvenire in una legge, ma pari a 61 milioni. E’ un limite massimo: in altre parole, se tutti i cittadini destinassero il 2×1000 ai partiti, questi potrebbero ricevere circa 300 milioni, ma con il limite massimo non potranno comunque andare oltre quota 61.
Infine, il professor Ricolfi non commenta il testo del disegno di legge che oggi consegniamo al Parlamento. E ciò nonostante il rigore e l’accuratezza coi quali abitualmente tratta materie come questa.
Non vediamo ragioni per cui si debba sentire offeso; piuttosto, il nostro augurio è che, dopo queste precisazioni, possa ritenersi soddisfatto sul significato delle parole ma anche sul senso delle cose."